Intervista a Claudio Magnabosco
Enio Sartori
Claudio Magnabosco. Premessa: non sono un esperto in materia di prostituzione; mi occupo, invece, della tratta. La prostituzione è solo uno degli aspetti della tratta e, probabilmente, neppure il più significativo, anche se è il più appariscente. Le mie risposte hanno, inevitabilmente un taglio che discende da questa impostazione.
D - Spesso si usa il termine “prostituirsi”, “prostituzione” per segnalare una più generalizzata forma di mercificazione delle relazioni, degli affetti, della professione, della politica. Lei pensa che la cosiddetta messa in vendita del corpo corrisponda a una dimensione generale della corporeità ormai vissuta totalmente in termini di valore di scambio all'interno delle nostre società?
R – La cosiddetta “messa in vendita del corpo” è una espressione distorta; implica in giudizio morale e non corrisponde ad una realtà che, quando è libera e consapevole, potrebbe esser meglio definita come “prestazione”.
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Vero è, comunque, che la prostituzione è un fenomeno da leggere a ben più alto livello di quello sessuale: si prostituiscono i valori, gli ideali, le scelte e le decisioni, la politica, l’arte, ecc. ecc. Il problema, quindi, è la mercificazione di tutto nella logica del mercato.
D – Esiste una “retorica della tratta” di ragazze migranti costrette alla prostituzione e dunque vittime ingenue del traffico criminale, che di fatto ci rilancia forse ancora una volta l'immagine della donna e più specificatamente della donna migrante quale oggetto passivo del proprio stesso progetto migratorio, incapace di gestire il proprio destino?
R – Utilizzare una definizione come “retorica della tratta” non è corretto ed adeguato a descrivere la realtà: le donne migranti hanno la capacità di gestire la propria vita, a patto di non essere in condizione di schiavitù. In quella situazione le migranti non possono far altro che prostituirsi, non possono rifiutare di prostituirsi, non sanno fare altro che prostituirsi.
D - Il tema della riappropriazione del corpo, e della libera sessualità, declinato un tempo sul versante femminista, oggi viene coniugato dalle “lavoratrici del sesso” in Europa per legittimare la mercificazione del loro corpo e la richiesta peraltro necessaria, di maggiori protezioni in termini sindacali, sanitari ecc... Tale approccio non appare forse riduttivo ? Tali richieste rappresentano obiettivi anche per le prostitute migranti?
R – Le lavoratrici del sesso? Definizione fuorviante. Se stigmatizziamo la prostituzione in senso lato, evidenziando che riguarda gli ideali, i valori, la politica e, infine ma non in primis, anche il sesso, non vedo come possiamo poi considerare “normale” che questa sia esercitata in qualsivoglia modo, come se fosse un lavoro.
Ma, soprattutto, poiché mi occupo di tratta non posso in alcun modo offrire alle vittime la legittimazione della loro condizione di prostitute. Solo quando e se acquisiscono piena libertà e piena possibilità di inserimento sociale, le vittime potranno scegliere quel che vorranno, qualunque cosa, anche la prostituzione... ma legittimare ciò cui sono costrette come unica e solo opportunità, è inevitabilmente rendersi complici del loro sfruttamento. Maggiori tutele, sindacalizzazione? O facciamo un discorso di riduzione del danno (ottimo e positivo, ma per noi riduttivo) oppure stiamo facendo un discorso parallelo a quello dei trafficanti.
D - La prostituzione, anche nelle sue forme mascherate, è un pedaggio che molte donne migranti pagano per estinguere il debito contratto con le organizzazioni che di fatto controllano i confini degli Stati, per migliorare la condizione economica propria e delle famiglie lasciate nel paese di provenienza, per liberarsi da situazioni di oppressione (come matrimoni forzati, violenza domestica, omofobia) ed emancipazione personale. Ci sono altre motivazioni che inducono le donne migranti alla prostituzione?
R – La maggior parte delle migranti è priva di istruzione, di cultura, di capacità professionali e lavorative; priva, quindi, anche di consapevolezza e si tratta, per lo più, di ragazze giovanissime, sempre più spesso minorenni. Prostituirsi è, per certi versi, la cosa più facile...
D - Quanto incide nel rendere appetibile il lavoro sessuale la costruzione di un modello di vita ad imitazione di quello occidentale fondato sul denaro e sul consumo?
R – Il modello occidentale è, indubbiamente, il sogno, il mito, la meta... da raggiungere a tutti i costi. Ma se si parla con le vittime della tratta, anche quelle che apparentemente si prostituiscono per libera scelta o per consapevole sottomissione, sentiremo dire che quel... lavoro... non è un lavoro e che preferirebbero non farlo e, comunque, non vogliono farlo per sempre... Raggiungere lo standard di vita occidentale è, quindi, effettivamente un obiettivo, ma la evidenza di poter far soldi solo con la prostituzione, prima o poi le rende anche consapevoli di stare all’ultimo gradino della scala sociale occidentale... ben misero risultato.
D - La tendenza a rendere invisibile la prostituzione, a tenerla nascosta agli occhi discreti della gente per aumentarne lo sguardo indiscreto, viene ulteriormente amplificata nel caso del lavoro sessuale migrante dalla condizione di clandestinità. Le lavoratrici migranti del sesso passano e si collocano nei nostri territori senza alcun diritto, traslocano entro percorsi cosmopoliti in modo altrettanto clandestino, giocano la loro esistenza private di qualsiasi diritto di cittadinanza e consegnate alla manipolazione, allo sfruttamento dei clienti, delle organizzazioni criminali. Quanto le attuali legislazioni in materia di immigrazione e di prostituzione incidono su questa condizione delle prostitute migranti? Può bastare il riconoscimento e la regolarizzazione della prostituzione come lavoro esteso anche alle migranti per attenuare questi problemi?
R – Regolarizzare la prostituzione come lavoro è la più evidente forma di prostituzione dei valori che stanno alla base di tutta la cultura dei diritti umani. Regolarizzare la prostituzione è rendersi complici del traffico, sostituendo ai trafficanti il monopolio garantista dello Stato, poiché se di lavoro si tratta, anche la prostituzione dovrà, in qualche modo, seguire le regole del lavoro, quindi assisteremo a proposte e a progetti di tassazione, ecc. ecc. Il problema, allora, è chiaramente un altro: bisogna distinguere nettamente tratta e prostituzione. Sia chiaro: le vittime della tratta non scelgono mai liberamente di prostituirsi; subiscono, accettano, si adeguano alla prostituzione, ma non la scelgono.
D - Nelle nostre società la relazione con una prostituta è intesa da parte del maschio come una semplice appendice staccata e momentanea rispetto alla vita normale, e la prostituta stessa come qualcosa d'altro, al di fuori della società delle donne e della società umana. In questo modo il cliente-maschio si salva sempre, mentre la prostituta è fin dall'inizio dannata. Eppure il fenomeno della prostituzione sembra riguardare proprio la parte più intima e più inesplorata di ciò che siamo. Forse la prostituzione chiama in causa l'intera storia del desiderio maschile, l'impotenza nel saper affermare il proprio desiderio senza ricorrere alla violenza o alla mercificazione, l'incapacità a dialogare con il desiderio femminile? Come viene vissuta da parte del cliente la relazione con una prostituta? Quale collocazione viene data all'interno della propria esistenza a questo tipo di esperienza?
R – Non è possibile generalizzare. I clienti non sono tutti uguali: non è possibile suddividerli in categorie , ma almeno due gruppi li possiamo indicare, attribuendo a ciascuno il 50% della realtà globale. Metà dei clienti è costituita da uomini con problemi affettivi, sentimentali, relazionali e sessuali; per costoro la relazione con una prostituta è affrettata solo nel suo aspetto meramente pratico, ma non si limita al sesso e spesso implica più profondi significati. L’altro 50% non pensa neppure lontanamente di doversi confrontare con il desiderio femminile. Per secoli la donna è rimasta senza diritti, sottomessa e asessuata, tanto da imporre alle donne segregazioni, mutilazioni sessuali, marginalità... L’esercito degli stupratori a pagamento non è diverso da quello degli altri stupratori, dei violentatori... cercare di inserire questi uomini in una categoria sociologica, giungendo a parlare di incapacità di dialogare con il desiderio femminile è puro intellettualismo. Qui siamo ancora al livello più basso della più bieca soddisfazione di istinti. E’ evidente che c’è chi soffia sul fuoco: la pornografia e la riproposizione continua del sesso alle tv e al cinema, alimentano questi aspetti deleteri: e, spesso, le stesse istituzioni rendendosi complici della doppia morale dei più, alimentano le negatività; infatti la prostituzione è diventato un problema solo per la sua visibilità considerata “eccessiva” dai perbenisti, non perchè esistono il traffico e la prostituzione coatta.
D - Si dice che una delle motivazioni profonde che spinge il maschio-occidentale verso il sesso a pagamento sia quella di spogliare il corpo femminile, di profanarlo, ossessione che tra l'altro ritroviamo espressa nell'immaginario colonialista nei confronti della femminilità “esotica” e “misteriosa” della donna araba, africana. Ritiene che effettivamente ci sia anche questa componente nel privilegio che alcuni clienti danno alle prostitute migranti soprattutto di origine africana?
R - Per rispondere sarebbe necessario produrre uno studio sociologico e psicopatologico dei turbamenti, delle pulsioni e delle patologie sessuali maschili. Prima di ogni altra cosa bisogna evidenziare che le migranti sono le donne più deboli e le meno tutelate sotto tutti gli aspetti. E’ più facile dominarle, è più facile violentarle e perfino ucciderle (quante sono le assassinate?) perchè non esistono. L’immaginario collettivo “colonialista” è una realtà, ma per restare su un piano più terra terra, prendiamo atto che da una parte abbiamo, ad esempio, il modello Naomi, la modella più bella e pagata del mondo, dall’altro c’è la possibilità per tutti di possedere per 10 euro a prestazione, la propria bellissima Naomi.
D - Le lavoratrici migranti del sesso rispondono alla necessita di un mercato del sesso globale entro cui va inserito anche il turismo sessuale i cui guadagni sono una parte consistente del Pil in alcuni paesi soprattutto dell'Estremo Oriente. Quali sono le ragioni , secondo lei, di questa preferenza da parte dei clienti occidentali (la maggior parte di donne dedite al lavoro sessuale sono migranti) non tanto del corpo dell'altro, ma di corpi altri?
R- I corpi altri sono belli, esotici, usarli costa poco, conseguenze non ce ne sono...e, in più, i trafficanti si preoccupano di cambiare “la merce” di tanto in tanto, giusto per soddisfare nuove curiosità.
D - Di quali forme di sessualità, di quali tecniche esotiche di seduzione, di quali piaceri, di quali fantasie erotiche sono portatrici nell'immaginario maschile occidentale le prostitute migranti?
R – Le “raffinatezze” della trasgressione sessuale e della perversione non sono così diffuse... i più godono a far male in ogni modo...e basta.
D - Quale impatto hanno le richieste dei clienti sul modo in cui le lavoratrici del sesso ci vedono? Quali linguaggi, gesti, parole, la prostituta immette nella relazione con il cliente?
R – Rispondo per interposta persona, utilizzando ciò che la mia compagna, Isoke Aikpitanyi, ex vittima della tratta, ha descritto nel suo libro “le ragazze di Benin City”: ci sono i papagiri, uomini un po' voyeurs e un po' impotenti, che girano attorno alle prostitute, assicurano loro piccoli servizi e favori, ecc. ecc.; poi ci sono i clienti “polli”, quelli che sono talmente stupidi che è possibile sfruttarli spillando loro più soldi possibile; ci sono i clienti che si arrotolano, quelli che vogliono parlare, capire, che si innamorano, ma che non sono in nessun modo capaci di proporre concrete via di uscita ad una vittima della tratta....
Posso anche dire che ogni prostituta ha la propria inviolabile intimità: molte nigeriane, ad esempio, non usano baciare l’uomo, anzi rifiutano il bacio perfino al cliente con il quale entrano in maggior confidenza....concedono tutto, ma non quello...
D - Le pratiche sessuali proposte dalle lavoratrici del sesso migrante ubbidiscono del tutto ad una formattazione precostituita dal cliente o avviene un apporto creativo legato alle pratiche sessuali di provenienza? Quali immagini di noi stessi ci rinvia la prostituta migrante?
R - La prestazione sessuale della migrante e della migrante africana, in particolare, non è libera e gioiosa come potrebbe essere un rapporto ... libero e gioioso. La soddisfazione delle richieste del cliente è l’unica preoccupazione della ragazza che, in tal modo, può chiedere o pretendere un extra rispetto al compenso pattuito...
Creatività zero, a meno che per tale non si intenda la richiesta da parte del cliente di fare tutto ciò che non può fare con la propria moglie e che vede nei film porno...
D - Non è forse restrittivo attribuire alla donna migrante dedita alla prostituzione l'incapacità di godere, di sentire, curiosità di avventura al di là dell'impero della necessità del lavoro; restrittiva anche l'immagine del cliente come soggetto incapace di sperimentare desideri, sentimenti nella relazione, restrittiva l'immagine del cliente come maschio pervertito e prepotente?
R – Domanda insinuante e un poco voyeuristica. La curiosità di avventurarsi spiega perchè tante vittime della tratta diventino davvero tali; che poi possano godere sessualmente nel rapporto con un cliente è ancora una vana speranza di molti clienti che ritengono di essere irresistibilmente maschi, tanto da far godere perfino una prostituta... Certo è che tra cliente e prostituta nascono talora, relazioni più profonde, anche se non propriamente sentimentali, alla base delle quali c’è una sorta di reciproca soddisfazione e compensazione. Il cliente, comunque, non è necessariamente pervertito, anzi, molti clienti non lo sono affatto. Bisognerebbe però, evidenziare che il fenomeno della prostituzione tocca anche delicatissime questioni delle quali neppure comunemente si osa parlare: come la sessualità nella terza età, negata, considerata sporca o innaturale; e la sessualità di persone che hanno diverse forme di handicap fisici che non cancellano, tuttavia, le loro pulsioni sessuali; e la sessualità di quanti sono affetti da turbe psichiche – eppure vivono come tutti in mezzo a tutti; e la sessualità di quanti, spesso sbandati e malati (non ultimi i malati di AIDS), sono comunque sessualmente attivi. Metto in ultima fila la questione della sessualità degli stranieri, spesso sbandati, sfruttati, imbruttiti e incattiviti, lontani dalle famiglie e dai valori essenziali, lontani dalle mogli e dai figli... Questo l’elenco e, dall’altra parte, ci sono le prostitute e le vittime della tratta; le prime scelgono i clienti, le altre sono lì, indifeso sfogatoio sociale.
D - La sua associazione opera con clienti ed ex-clienti delle prostitute. Ritiene che tra le altre motivazioni che spingono gli uomini a ricorrere a prostitute ci sia anche la mancanza di condivisione e di sperimentazione all'interno della coppia di relazioni sessuali capaci di comprendere come possibilità ciò che gli uomini chiedono alle lavoratrici del sesso?
R - Sicuramente sì, anche se, ripeto, prima che le cose non funzionino all’interno di una coppia bisogna che la coppia esista; spesso la difficoltà maschile è creare una relazione di coppia, all’interno della quale possono poi prodursi dinamiche e problemi. Il fatto è che l’inesistenza di una cultura delle consapevolezza di una vita fatta di serene relazioni, genera una qualche malattia nel rapporto di coppia quando in qualche modo si costituisce. L’insoddisfazione sessuale alimenta le fantasie e le turbative anche in ordine alla propria capacità meccanica di provare e di dare piacere e determina, di conseguenza, la ricerca ... che poi l’uomo si rivolga alla cosiddette lavoratrici del sesso, detta così potrebbe sembrare perfino la ricerca di una terapia... Il problema non è solo l’esistenza di questioni all’interno della famiglia, ma è l’educazione sessuale e la morale sessuale delle quali siamo pervasi e che ci fanno considerare il sesso come peccato. La sessualità diventa, quindi, il lato oscuro della nostra vita, da consumare nascostamente e con vergogna. Credo, di conseguenza, si possa definire il ricorso a prestazioni sessuali a pagamento come una sorta di masturbazione... se la donna non esiste ed è soltanto un oggetto e se la si vuol ridurre a oggetto, significa che si è incapaci di costruire e vivere una relazione vera o, più semplicemente, che si pensa ad un proprio piacere che non implicando alcuna condivisione e compartecipazione, è effettivamente masturbatorio. Non a caso la ricerca forsennata di questo piacere e il bisogno di soddisfarlo in una situazione di clandestinità morale, separata dal resto della propria vita, arriva a determinare un ricorso compulsivo alle prestazioni con una prostituta, tanto da configurare una vera e propria dipendenza, per certi versi non diversa da quella di chi usa sostanze o alcol. Certo è che mentre per soddisfare la dipendenza da droghe e alcol si usano, appunto, sostanze, per soddisfare la propria dipendenza sessuale si usano altre persone.
D - Si deve supporre una intrinseca e attuale tendenza del maschio europeo a voler giocare al sesso attraverso una relazione filtrata dal denaro, e dunque all'azzeramento del processo di condivisione attiva, la necessità che per adempire tali desideri la donna venga ridotta ad oggetto?
Ridurle a non persone corrisponde a non considerare non persone perfino se stessi, oppure a non considerarci responsabili di nulla verso altri e, al massimo, solo verso se stessi.
D - Che cosa può dirci una prostituta non tanto come prostituta ma come donna sul godimento che nella relazione mercificata si fabbrica, sul godimento monetario e non affettivo?
La prostituta non si prostituisce per alimentare i nostri studi sociologici, ma per guadagnare soldi che non sa o non può guadagnare altrimenti. Credo che non abbiamo bisogno di interrogare le prostitute e i clienti per capire ciò che dovremmo capire con una analisi della nostra natura di persone comuni, con sogni, bisogni, pulsioni e turbative, spinte moralistiche e stati permanenti di eccitazione determinati dai media e dalla moda dell’edonismo e dell’egoismo.
D - Quali sono le forme di assoggettamento a cui sono costrette le prostitute nigeriane? Potrebbe descriverci come funziona il mercato delle prostitute nigeriane in questi ultimi anni? Chi sono le cosiddette maman? Come vengono avvicinate le ragazze dalle associazioni criminali in Nigeria?. Quali sono le zone più toccate da questo reclutamento in Nigeria?. Ci sono cause particolari? Le ragazze hanno idea di quello che andranno a fare in Europa?
R – Assoggettamento è il termine giusto; potremmo parlare anche di sottomissione. Preciso, allora, che non esistono le prostitute nigeriane, esistono le trafficate nigeriane. La Nigeria è un paese ricchissimo al cui interno la stragrande maggioranza della popolazione sopravvive appena. Il richiamo dei modelli di vita, di successo e di ricchezza sono davanti agli occhi di tutti. E, insieme a questo, c’è il modello della persona africana che vive bene, perchè fa businnes. Tutti sognano di fare businnes in Nigeria e il traffico è indubbiamente un businnes. Per povera che sia, la vita di una ragazza africana in Italia è sempre più ricca della vita che conduceva in Nigeria: se la media è avere un euro al giorno, l’Italia e l’Europa sono il bengodi. Questo è il primo assoggettamento: la percezione del fatto di vivere una vita senza prospettive e, quindi, la necessità, l’urgenza per i giovani, di cambiar vita e di andare là dove tutti diventano ricchi. Come costringere, però, una ragazza a pagare le ingenti somme del debito che le si impone per portarle in Europa? Se non è una persona stupida si accorgerà presto che le promesse di un lavoro ben pagato e di una vita felice, sono false e potrebbe ribellarsi. Quindi si ricorre a tutto: al richiamo della tradizione, al voodoo, ad esempio. Le ragazze che ci credono non tradiranno mai una promessa fatta a rischio di scatenare contro se stessa e contro la propria famiglia, forze negative e malefiche. Sarà facile per i trafficanti, far credere che tutta una serie di negatività e problemi che la ragazza incontrerà in Europa, sono la conseguenza del fatto che lei è disubbidiente. Un rito voodoo basta, quindi, ad assoggettarle psicologicamente. Ci sono, però, quelle che non credono al voodoo e con queste ci vorrà un gioco più sottile: bisognerà minacciare la famiglia e se è il caso, bisognerà usare la famiglia per far pressione sulla ragazza, trasformando la famiglia stessa in complice della tratta e in complice dello sfruttamento cui la ragazza è sottoposta.
Per le organizzazioni criminali avvicinare le ragazze è facile, spesso le famiglie non aspettano altro che essere avvicinate e considerano il trafficante come un benefattore... come si può tradire, denunciare un benefattore? E il gioco perverso giocato da costoro è tale da far accettare anche le condizioni più inaccettabili: 60 mila euro da pagare? E’ una assurdità ma la si accetta, anche perchè non si comprende subito la differenza tra naira, dollari, euro... Ma se si riesce a pagare in due anni, dopo c’è la prospettiva di fare businnes portando un’altra ragazza a fare la stessa cosa a proprio favore. Ecco chi sono le maman, la lunga manus di una rete che è rete di reti e di persone, ciascuna con il proprio interesse ed il proprio ruolo. E nella rete ci entrano, spesso, appena possibile le stesse vittime. Una ragazza costretta a prostituirsi, trova la possibilità di far soldi, addirittura smettendo di prostituirsi, sfruttando un’altra ragazza, esattamente come lei stessa è stata obbligata a fare. E se neppure questo basta, basteranno la lontananza e l’affetto per i genitori e per i fratelli a motivare la ragazza a starsene al proprio posto, a lavorare in strada, a pagare debito e debiti; a pagare per l’ospedale, per la casa, per l’auto che la famiglia godrà in Nigeria e che - così crede – lei stessa potrà godere quando tornerà. Certo non sa, questa ragazza, che se non continua a mandare soldi il rapporto con la famiglia si inquinerà, che non sarà mai più bene accetta dalla famiglia se non continuerà ad alimentare quella che è chiamata pipeline, una sorta di oleodotto del denaro che ha migliorato addirittura l’urbanistica della città di Benin City, da dove proviene la maggior parte delle nigeriane che vivono clandestinamente in Italia e in Europa.
In Europa ci sono intere famiglie di Benin City, tre o quattro sorelle, tutte con la stessa storia, giunte in Italia per inseguire un sogno, per fare businnes. Le ragazze un tempo non sapevano davvero che cosa avrebbero dovuto fare in Italia o in altri paesi europei. Oggi sanno, ma in realtà non sanno... non sanno cosa voglia dire battere ore e ore al gelo, nella neve, in balia di balordi e violenti... le studentesse che si prostituiscono a Lagos negli alberghi dei bianchi businnesman, sanno e non sanno che cosa sia l’Europa. Sanno che lavoreranno in un night club, che faranno le ballerine e poi si crederanno più furbe delle altre che, invece, sono costrette a stare in strada, ma la situazione è la stessa per tutte, tutte sono di fatto e alla fin fine costrette a prostituirsi. La situazione di clandestinità le obbliga a vivere nel ghetto al cui interno vigono regole e obblighi, all’interno del quale si respira una cultura che le vuole esattamente come sono. Se pagano il loro debito, alla fin fine devono pagare anche una festa nel corso della quale davanti a tutti devono ringraziare le maman, dichiararsi contente di quel che queste hanno fatto e del risultato che hanno ottenuto, in pratica nuovamente devono assoggettarsi ad una logica dalla quale non si esce, come non si esce da un circolo mafioso nel quale si assurge ad un ruolo superiore, dopo aver superato una prova difficile.
D - L'immagine della prostituta che filtra nel nostro immaginario è quella di una donna peccatrice, colpevole, che ruba i mariti, soggetto pericoloso, contaminante, priva di morale, priva di sentimenti genuini, o vittima che bisogna moralizzare o rigenerare. Questa immagine è costruita su stereotipi o corrisponde alla realtà che lei ha potuto conoscere? Ciò vale anche per le vittime della tratta?
R – Le prostitute non si chiedono se rappresentano o no uno stereotipo e non si sottraggono a nulla. Le vittime della tratta, invece, soffrono la loro condizione e compatiscono i clienti che contribuiscono a sfruttarle e tradiscono le famiglie, ecc. ecc. Non propongo una scala di valori per cui le prime sono spudorate e le altre no....certo è che le vittime della tratta, a nostra avviso, meritano impegni per assicurare loro una vita diversa, poiché non vogliono prostituirsi o non vogliono più prostituirsi. Le vittime della tratta non stanno nel modello della prostituta fino a quando non si rassegnano a starci e ad accettarlo. Ma che questa sia una libera scelta, proprio no.
D - La prostituzione migrante, nel suo darsi una struttura in Italia, ricalca i modelli di relazioni dei paesi d'origine, di partenza. Nel caso della prostituzione albanese è la relazione di coppia quella che struttura ambiguamente i rapporti affettivi e commerciali tra ragazza e protettore. Nel caso delle ragazze nigeriane qual è il modello di riferimento?
R – Le ragazze nigeriane per lo più sono gestite da altre ragazze diventate maman; certo chi tiene le fila del traffico è altrove ed è collocato ad altissimi livelli. Come dimenticare che i primi visti per arrivare in Europa sono stati concessi da funzionari dell’Ambasciata italiana complici dei trafficanti e che una volta trasformato il fenomeno in piccola massa, l’effetto non ha potuto far altro che moltiplicarsi a dismisura, visto il costante aumento di tutto il fenomeno delle migrazioni. Il modello nigeriano è più matriarcale di altri..
D - Per i clienti l’appartenenza etnica della prostituta acquista senso solamente sul piano estetico e può evidentemente aumentare il valore della merce: le implicazioni profonde della provenienza della ragazza sono deliberatamente tenute fuori dalla relazione (anzi, il rapporto mercenario è possibile solo a patto di tener fuori tali aspetti), poiché ne incrinerebbero pericolosamente le condizioni. Trova qui concreta applicazione una delle più sottili violenze perpetrate ai danni dell’immigrata, in realtà condizione necessaria dello sfruttamento come di qualsiasi atto volto alla diminuzione della persona: la negazione dell’individualità, della storia personale e l’appiattimento del soggetto sulla propria condizione attuale o la presunta categoria d’appartenenza. Le ho riassunto qui alcune considerazioni attorno alla relazione cliente-prostituta migrante. Ritiene che siano verosimili?
R – Non sono verosimili, sono vere.
D - In merito ai clienti che aiutano le ragazze nigeriane ad uscire dalla condizione di prostitute: non c'è forse una certa presunzione nel pensare di salvare queste ragazze, un malcelato senso di superiorità?
R – Noi del Progetto la ragazza di Benin City non parliamo di aiuto, mai, proprio perchè aiutare significa sentirsi presuntuosamente superiori.
D - Esiste, secondo Lei, un cliente “buono e responsabile” che renderebbe la prostituzione sopportabile oppure la prostituzione determina costitutivamente la morte sociale della donna e il suo non riconoscimento come persona?
R - Esiste il cliente che si sente buono e responsabile e che – appunto – rende la prostituzione sopportabile. Questo è il cliente che, più di tutti gli altri, è complice della tratta, proprio perchè rende la prostituzione sopportabile o, addirittura la modifica, trasformando la ragazza in una prostituta personale, al limite da condividere con pochi altri ....
D - L'associazione "Progetto La ragazza di Benin City". Quali sono i pregi e limiti di questa esperienza? Parlando della filosofia che sta alla base del “Progetto lei si chiede: "Come affrontare e risolvere i problemi di una ragazza africana, superando i propri bisogni (affettivi, sentimentali, sessuali, relazionali) che erano stati determinanti per conoscerla?
R – Opportunamente il cliente dovrebbe diventare, anzitutto, un non cliente, quindi essere il primo a spezzare la catena della tratta. Succede che quei clienti che definisco sensibili, riescono a superare davvero i loro limiti personali se si sentono compartecipi di un progetto umanitario ed umano di grande rilevanza: cancellare questa nuova forma di schiavitù. Il legame con una ragazza diventa meno egoistico e se coronano una amicizia vera, un affetto, vero, un amore vero, queste si trasforma in una normalissima e positiva relazione tra un uomo e una donna. Altrimenti il cliente corre il rischio non solo di rendere la prostituzione più sopportbaile, ma di render tale anche la clandestinità e tutto ciò che costituisce l’essenza stessa della tratta. Questo cliente entra nel giro e nel gioco del businnes africano sulla tratta e anzichè sottrarre ad esso una ragazza, in qualche modo la sfrutta egli stesso. Si presta, così, a regolarizzazioni fasulle, a matrimoni finti, ecc. ecc.
Noi abbiamo pensato, in un primo tempo, che contro le asprezze e i limiti della legge (non crediamo affatto che la legge Bossi – Fini sia una buona legge, ma la nostra valutazione oggettiva è che davvero è una legge tra le migliori d’Europa, per cui immaginiamo qual è la situazione fuori dall’Italia ...) fosse necessario ricorrere ad una sorta di disobbedienza civile; poi, però, abbiamo dovuto prendere atto che tra i disobbedienti c’erano soprattutto dei profittatori: in cambio di un finto lavoro e di un finto matrimonio costoro pretendo denaro e prestazioni dalle ragazze, quindi non disobbediscono gratuitamente al solo scopo di tirarle fuori se non altro dalla clandestinità.
D - La vostra associazione lavora con ex-clienti. Come viene svolto questo lavoro? Quali sono i temi che vengono affrontati e sviluppati?
R - Rendere gli uomini consapevoli di questa situazione, contribuisce a cambiare la prospettiva: non parlare di prostituzione, quindi, è essenziale, proprio perchè si tratta di “accompagnare” una ragazza che voglia uscire dalla tratta, in un percorso che è lungo e difficile, molto più lungo e più difficile del restare dentro alla tratta e rassegnarsi a prostituirsi.
Questi uomini attraverso l’auto-mutuo aiuto, attraverso il confronto da uomo a uomo, possono rendersi addirittura protagonisti di una nuova forma di relazione con la donna, costruita su basi finalmente paritaria, guardando le sopraffazioni e le violenze subite dalle vittime della tratta, come qualcosa di cui essi stessi sono, sono stati o possono essere responsabili diretti o indiretti. Da qui a parlare con gli altri uomini ed attivare un progetto di “coscienza maschile”, il passo è breve. Abbiamo almeno un gruppo di auto-mutuo aiuto in ciascuna regione italiana. Abbiamo migliaia di contatti, 250 uomini in relazione che definisco – quantunque impropriamente – terapeutica, circa 50 sono già concretamente risorsa attiva e positiva, sono cioè uomini trasformati dall’esperienza nella tratta.
E’ opportuno descrivere appieno la nostra attività: la stesse dinamiche di auto-mutuo aiuto, riguarda anche le vittime della tratta che se ne sottraggono anche attraverso il sostegno di altre ragazze che ne sono uscite: in auto-mutuo aiuto, le ragazze di Benin City spezzano le catene della dipendenza psicologica, psichica, culturale, oltre che economica dalla tratta. Rinvio quanti sono interessati ad approfondire la questione “clienti” allo studio realizzato dalla dr.ssa Lorenza Maluccelli e di ormai imminente pubblicazione: è il frutto di un focus sulla nostra esperienza, unica in Italia e in Europa....
Claudio Magnabosco è coordinatore del progetto "La ragazza di Benin City", rete di sostegno di clienti e vittime della tratta che ha sede ad Aosta, è autore del romanzo “Akara Ogun e la ragazza di Benin City”. Informazioni sull'associazione e sulle attività di scrittura di Magnabosco sono ospitate nel sito di inafrica.
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