Trovatori e «amor cortese». L'epoca dei trovatori: opere e protagonisti
Nell'amplissimo contesto della letteratura universale l'opera dei trovatori, nettamente delimitata nello spazio e nel tempo - la Francia meridionale dei secoli XI e XII - costituisce un fenomeno unico e irripetibile. Un'arte aristocratica strettamente legata a tutti i grandi eventi del tempo (le crociate, i traffici con l'Oriente, l'eresia catara, i rapporti e gli scontri tra il mondo latino e il mondo sassone), e in una società percorsa dai più agitati fermenti di vita, di pensiero, di fede, di superstizione, in una Europa che aveva al suo interno tutte le frontiere aperte e mobili e tuttavia percorse dalle più gravi contrapposizioni esterne, tra Roma e Bisanzio, Chiesa latina e Chiesa orientale, tra summe teologiche e insorgenti eresie, tra società feudale e civiltà islamica. L'epoca dei trovatori, pur così limitata nel tempo e nello spazio, fu estremamente variegata nelle sue forme ed espressioni, a cominciare da quella, più alta e genuina, di Jaufré Rudel; e anche quando le sue liriche a poco a poco si modificarono e confusero, la loro eco in qualche modo rimase, feconda, nelle forme ed espressioni della poesia che seguì, dal "Dolce Stil Novo" fino all'età moderna. Protagonisti, fatti, curiosità, affiorano vivi, pulsanti e, a tratti, inediti dalle pagine di questo nuovo, altissimo contributo letterario di Enzo Cataldi, ricco di spunti di approfondimento e di rilettura di un periodo affascinante e inquieto, custode di molti segreti ancora da svelare.
La donna nel mondo cavalleresco – cortese
Le prime manifestazioni di letteratura cortese si hanno nella Francia degli inizi del XII secolo. Questa nacque come reazione contro la rigidità dell’etica morale della Chiesa e come sfogo di una spinta alla rivoluzione del modo di pensare e dei costumi.
La letteratura cortese forniva, per il Medioevo, una nuova visione dell’amore, grazie ai trovatori, ai trovieri ed ai romanzieri; un amore fondato soprattutto sulla sublimazione della donna.
I primi furono i poeti di lingua d’oc, che predicavano la bellezza dell’amore, visto non come follia o disonore per l’uomo, ma come saggezza e come un sentimento in grado di esaltare tutte le qualità affettive e spirituali di una persona.
La dama nell’amore cortese è l’estasi di ciascun uomo. L’amante è accecato dalla bellezza della donna, la sua devozione a lei è estrema, egli le è completamente sottoposto e le deve perciò un lungo e totale servizio amoroso, senza mai aspettarsi una ricompensa. La figura femminile è quindi esaltata come la più bella e la più nobile, e per lei l’uomo innamorato perde la sua personalità, trovandosi come un bambino.
Per i romanzieri della Francia settentrionale l’amore era cosa meno casta e la donna provocava piacere, oltre che spirituale, anche carnale. Questo amore occupava maggiore spazio nei romanzi rispetto alle opere dei poeti lirici. Per questo fatto le figure femminili assunsero un rilievo più accentuato, mentre prima l’opera si svolgeva quasi esclusivamente attorno al tema dell’amore come estasi. La dama idolatrata dai trovatori era spesso un essere indefinito, idealizzato, sublimato, mentre l’eroina dei romanzieri era sempre un essere di carne.
La bellezza fisica della donna seduceva il cavaliere quasi quanto la sua perfezione morale, poiché l’amore nasce dall’attrazione fisica in primo luogo. Anzi, dalla seconda metà del XII secolo, l’idea che si abbia un’identità tra bontà e bellezza prese sempre maggiore diffusione, per il principio che una bella apparenza non può che riflettere ottime qualità interiori, la bellezza era data da un’immagine molto convenzionale, che corrispondeva agli stereotipi della moda. Fondamentalmente la pelle doveva essere chiara, il viso ovale, i capelli biondi, la bocca piccola, gli occhi azzurri e le sopracciglia disegnate. Secondo Marie de France, la damigella ideale doveva avere queste qualità:
“Ha il corpo ben fatto, i fianchi stretti, il collo più bianco della neve su un ramo. I suoi occhi sono grigio-azzurri, il viso chiarissimo, la bocca gradevole ed il naso regolare. Ha le sopracciglia brume, la fronte ampia, i capelli ricciuti e biondissimi. Alla luce del giorno sono più luminosi dell’oro.”
Anche se poco descritte dai poeti, le altre parti del corpo femminile sono le gambe lunghe, il seno piccolo e , generalmente, la donna doveva essere esile e slanciata.
Le tre scuole, siciliana, siculo-toscana, stilnovo
Descrizione breve ma concisa delle tre scuole poetiche per eccellenza del'200-'300: quella siciliana, quella siculo-toscana, e quella del Dolce Stil Novo
Le Tre Scuole: siciliana, siculo-toscana, stilnovo
LA SCUOLA SICILIANA Nella produzione poetica siciliana si riscontra una comunanza di temi e di stili riconducibili alla presenza di un caposcuola, Iacopo da Lentini, che rielabora il modello provenzale. Con i siciliani la poesia diventa un genere nel quale il testo in versi si distacca definitivamente dalla musica. Non va dimenticato poi che l’aspetto più rivoluzionario di questa scuola consiste nella creazione e nell’adozione di un codice poetico in lingua volgare. L’attenzione dei poeti della Suola Siciliana si concentra totalmente sull’amore fino, cioè perfetto, essi inoltre cercano di esaltare, tramite similitudini tratte dall’ambito naturalistico e scientifico, lo splendore dell’amata (che appare sempre meno concreta, quasi sublimata e divinizzata, anticipando quanto avverrà in Guinizelli e negli stilnovisti). Sul piano delle strutture metriche con la scuola siciliana si affermano definitivamente nella tradizione letteraria italiana tre forme principali: la canzone di argomento sublime, la canzonetta con temi narrativi e spesso dialogati e il sonetto, quasi sicuramente inventato da Iacopo da Lentini. La lingua poetica usata dai siciliani è di livello alto, curata sotto l’aspetto lessicale e ricca di artifici retorici: alla base troviamo il volgare siciliano, privato di ogni residuo dialettale e fortemente influenzato dal periodare latino.
LA LIRICA SICULO-TOSCANA La cultura poetica siciliana non sopravvive alla fine del dominio svevo nell’Italia meridionale in seguito alla battaglia di Benevento. Fortunatamente, la ricca esperienza poetica elaborata alla corte di Federico non scompare ma si trasferisce al nord nell’area emiliana e toscana. A differenza dei siciliani, i poeti di questa nuova fase della lirica non possono essere identificati con il termini unitario di “scuola” per la grande diversità che li caratterizza sia sul piano della poetica sia su quello del linguaggio. Questi poeti si ispirano e al modello siciliano e a quello provenzale apportando importanti novità sul piano tematico e formale. Per quanto riguarda le scelte contenutistiche accanto al tema amoroso, ricompaiono i riferimenti cronachistici, la tematica morale e soprattutto quella politica. Innovativa è l’adozione di un volgare toscano alto. In Italia viene introdotta per la prima volta dai rimatori toscani la ballata, sconosciuta ai siciliani.
LO STILNOVO La nuova corrente poetica si sviluppa nel fertile crocevia culturale che lega le città di Bologna e Firenze. Precursore dello stilnovo è il bolognese Guido Guinizelli. In seguito lo stilnovo si sviluppò in toscana e in particolare a Firenze. È stato Gianfranco Contini ad attribuire per primo allo stilnovo il carattere di “scuola poetica”, individuandone i presupposti teorici nella congruenza di obiettivi, nell’adesione a una poetica comune e nella condivisione di un linguaggio lirico nuovo per forma e temi. Nello stilnovo abbiamo una rielaborazione e una selezione dei temi della tradizione precedente: alcuni di questi (come la devozione dell’uomo all’amata) sopravvivono; altri (come le immagini tratte dai bestiari o dal mondo marinaresco) scompaiono; altri ancora (come l’immagine della donna angelo) assumo maggiore pregnanza di significato nella concezione più spirituale e approfondita della passione amorosa, elaborata dagli stilnovisti. Il motivo della gentilezza e della nobiltà dell’animo appare intimamente unito a quello dell’amore, di conseguenza se ne deduce che tale nobiltà non è legata alla stirpe ma solo alle qualità personali. Questo concetto era già stato espresso da alcuni trovatori provenzali, nei quali, però, ci si riferiva solo al contesto sociale della corte; al contrario con lo stilnovo ci ritroviamo in ambito cittadino. Gli stilnovisti rifiutano nei propri componimenti qualsiasi altro tema che non sia quello amoroso. Protagonista assoluta della poesia stilnovista è la figura femminile, che diventa tramite fra l’uomo e la sfera divina. La donna esercita una funzione salvifica non solo sull’amante, ma anche su tutti coloro che le si avvicinano. Nello stilnovo la donna rivolge il saluto e lo sguardo, ma non colloquia più con l’amante ed, inoltre, è lodata non più per le sue virtù estetiche e mondane, ma per quelle spirituali. A livello stilistico e linguistico, nello stilnovo, troviamo una sintassi piana e lineare, la scelta di una lingua cittadina ma colta e raffinata, la rinuncia a forme plebee, un limitato uso di artifici retorici. L’ideale della dolcezza e della raffinatezza porta gli stilnovisti, sul piano delle scelte metriche, a privilegiare la canzone e il sonetto e a praticare al ballata. La dottrina aristotelico-tomista e gli studi scientifici di matrice universitaria influenzano molto la poetica stilnovista. Queste due componenti sono particolarmente evidenti nella produzione di Guido Cavalcanti. Le sue liriche sono contraddistinte da una costante volontà conoscitiva nei confronti della passione amorosa: questa, però, secondo il pensiero aristotelico-averroista, interessa la parte irrazionale dell’anima di un individuo. Cavalcanti ha una visione pessimistica dell’amore; in lui le passioni, le parti del corpo o degli atti coinvolti nell’innamoramento prendono forma di personaggi teatrali. È soprattutto nelle liriche dai toni più angosciati che Cavalcanti si rivela il maestro del “dolce stilnovo”, ciononostante va detto che la sua poesia amorosa conosce anche momenti caratterizzati da toni più pacati e sereni.
Saggio sulla donna angelica nello stilnovo e nella vita nuova?
1_ Premessa
2_ La donna angelica per Guinizzelli e per Dante
3_ Analogie e differenze; conclusione.
Lo stilnovo,movimento poetico del tredicesimo secolo, afferma un nuovo concetto di amore, e quindi un nuovo concetto di donna, concepita adesso come donna angelo, donna angelicata:la donna, nella visione stilnovistica, ha la straordinaria virtù di nobilitare l'animo dell'uomo e di operare da tramite fra questo e Dio, che inizia attraverso lo scambio d'un'occhiata fugace.
Nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, Guido Guinizelli immagina di doversi giustificare di fronte al Sommo Fattore che lo interroga sul motivo per cui la donna indirizzò ad un essere umano le lodi e l'amore che a Lui solo convengono; a tali domande egli risponde con le seguenti parole: "Tenne d'angel sembianza / che fosse del tuo regno; / non me fu fallo, s'in lei posi amanza" (vv. 57-60). Questi ultimi tre versi esprimono il seguente concetto: "aveva l'aspetto (semblanza) di un angelo che appartenesse al tuo regno, non feci peccato (non me fu fallo) se posi in lei il mio amore (amanza)". La figura della donna viene concepita in maniera diversa poiché viene considerata un essere ultraterreno intermediario tra Dio e l'uomo.La donna quindi assomiglia ad un angelo. Non è più la signora, severa, distante ed a volte crudele, simile ad un signore feudale al quale obbedire ciecamente. La donna è un angelo, cioè un messaggero di Dio. Amare ed obbedire a lei è come amare ed obbedire a Dio stesso. Lei parla di Lui al cuore dell'uomo, lo eleva verso il cielo, di cui lei è specchio trasparente. La donna quindi è il frutto più bello del creato, perché è quello che più assomiglia al cielo. La sua funzione di nobilitare ed elevare è fonte di bene per l'uomo.
Per Dante il discorso è ancora più articolato perchè il concetto di donna si intreccia con quello di poesia:Dante considera la poesia CLARITAS, cioè lo splendore della verità, che si incarna in Beatrice, attraverso un lento e progressivo cammino.La donna gentile =la filosofia che ti riporta a Dio perché ti fa desiderare di conoscere e capire di più.
BEATRICE E':
LA BELLEZZA DELLA VERITÀ
L'AMORE PER LA VERITÀ
L'AMOROSO USO DELLA SAPIENZA (per filosofare è necessario amare).Beatrice è il simbolo dell'unione dell'anima con Dio che è il primo amore dell'uomo.
Il dolce stil novo
Negli ultimi decenni del secolo, a Firenze, che è all'avanguardia nello sviluppo delle nuove forme di vita economica, sociale e politica, e si avvia a divenire il centro guida della cultura italiana, si forma il nucleo più importante di un'altra tendenza poetica, il "dolce stil novo", con cui la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase culminante in Italia.
I poeti che ne sono esponenti, i fiorentini Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, a cui si aggiunge il pistoiese Cino de' Sigibuldi, si staccano nettamente dagli orientamenti dei rimatori toscani della generazione di Guittone e dalla precedente tradizione siciliana e provenzale.
Si tratta di poeti dalla forte e spiccata personalità, per cui è difficile fissare i tratti distintivi di una vera e propria scuola. Si possono però individuare alcune tendenze comuni. Innanzitutto ciò che li distingue con più evidenza, sul piano formale, è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici cari a Guittone e ai suoi seguaci e la scelta di uno stile più limpido e piano che viene appunto definito col termine tecnico "dolce".
Volendo trovare un ascendente, se Guittone riprendeva la maniera del trobar clus provenzale, costoro si possono accostare alla maniera del trobar leu (cfr. Quadro di riferimento I, § 7).
Sul piano dei contenuti, all' omaggio feudale rivolto alla dama, che era tipico dell' amor cortese, si sostituisce una visione più spiritualizzata della donna, che viene esaltata come angelo in terra e dispensatrice di salvezza (anche se per questi temi la novità non è assoluta, in quanto spunti affini si potevano già rinvenire sporadicamente nella tradizione precedente).
Più sensibile è invece lo stacco dalla tradizione in due altri aspetti: l'attenzione concentrata con più rigore sull'interiorità dell'amante, con l'esclusione di ogni riferimento a situazioni esterne, e il fervore intelletiualistico, che si rifà ad un bagaglio filosofico e scientifico di provenienza universitaria. Inoltre si coglie l'aspirazione a sostituire la corte reale, che era lo sfondo della poesia provenzale e siciliana, con una corte tutta ideale, composta da una cerchia ristretta di spiriti eletti, dotati di alta cultura e disdegnosi del volgo "villano", e per questo uniti fra loro da un vincolo geloso ed esclusivo.
Questa sostituzione di una corte ideale a quella reale risponde al nuovo ambiente sociale cittadino in cui si sviluppa questa poesia, che esclude ovviamente la presenza della corte. Lo "stil novo" si rivela l' espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali che aspirano a presentarsi come una nuova aristocrazia, fondata non più sulla nobiltà di sangue ma sull'altezza d'ingegno" (la formula è di Dante, Inferno, X, v. 59) e sulla raffinatezza del sentire, per distinguersi dagli inferiori ceti borghesi. Uno dei temi centrali è appunto l'identificazione di ."amore" e "gentilezza" (che ha il senso di "nobiltà"): proprio il saper amare "finamente" (che vuol poi dire saper scrivere poesia d'amore, cioè essere di raffinata cultura) è indizio di una superiore nobiltà d'animo.
E la "gentilezza" è un dato di natura, legato alle qualità personali, non alla nascita e al titolo ereditario. Questi motivi erano già presenti nella tradizione cortese precedente, ma il contesto in cui vengono ripresi ne modifica profondamente il senso.
Nella lirica trobadorica la rivendicazione della nobiltà dello spirito di contro a quella del sangue rispondeva alla visione di un'aristocrazia inferiore, di recente acquisizione, che voleva entrare a far parte a pieno diritto dell' aristocrazia feudale. Negli stilnovisti si tratta invece della rivendicazione dei ceti emergenti nel contesto urbano, che si contrappongono alla vecchia aristocrazia e vogliono collocarsi al suo posto nella posizione egemone all'interno della società.
La formula "dolce stil novo" usata comunemente per designare il gruppo, è stata coniata da Dante. Nel canto XXIV del Purgatorio, al rimatore guittoniano Bonagiunta da Lucca, che gli chiede se egli sia colui che "fòre / trasse le nove rime" con la canzone Donne ch 'avete intelletto d'amore, Dante risponde: "I' mi son un, che quando / Amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch' è ditta dentro vo significando"; al che Bonagiunta proclama di scorgere "il nodo" che trattenne il Notaio (Iacopo da Lentini), Guittone e lui stesso "di qua da quel dolce stil novo ch' i' odo" (vv. 55-57).
Si può cogliere qui il forte distacco polemico nei confronti della precedente poesia cortese italiana, individuata in due delle sue manifestazioni più significative, la maniera siciliana e quella guittoniana. La discriminante tra la poesia vecchia e quella nuova è indicata da Dante in una più stretta aderenza dei poeti a ciò che Amore "ditta dentro". Tuttavia, come è stato fatto notare, qui viene espressa più propriamente la definizione della poesia di Dante stesso: Dante, cioè, parla di "dolce stil novo" a proposito della
propria canzone Donne ch 'avete intelletto d'amore, e pertanto appare incauto estendere la formula con troppa facilità a tutto il gruppo. Sarebbe forse più appropriato, per definire l'intera tendenza, ricorrere ad un'altra formula, usata da Dante proprio per designare tutta una maniera, quella ri me "dolci e leggiadre" (Purgatorio, XXVI, v. 99), dove i due aggettivi non hanno un valore generico, ma tecnico, e indicano le specifiche particolarità dello stile di questa maniera, che sono quelle che più vistosamente la distinguono dalla tradizione precedente (e che individuermo meglio attraverso la lettura dei testi). Comunque la formula "dolce stil novo" è ormai consacrata dall'uso per indicare l'intera scuola, e quindi non possiamo evitare di farvi ricorso. Precursore del gruppo è da considerare il bolognese Guido Guinizzelli (1230 ca -1276), probabilmente giudice di professione, appartenente alla generazione precedente a quella di Dante e Cavalcanti.
Dante stesso lo definisce suo maestro, e nel canto XXVI del Purgatorio lo chiama "padre / mio e delli altri miei miglior che mai / rime d'amore usar dolci e leggiadre" (vv. 97-99). A lui appar tiene il manifesto della nuova tendenza, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore (cfr. Tl7). Sin dal primo verso essa propone l'identificazione tra amore e "gentilezza" che sarà poi un caposaldo della concezione stilnovistica; nella chiusa, poi, offre un altro motivo centrale, l'equiparazione della donna ad un angelo proveniente dal regno di Dio, per cui non è peccato attribuirle lodi che converrebbero a Dio stesso e alla Vergine.
Un' altra caratteristica che spicca nella canzone, e che sarà poi tipica dello stilnovismo, è il gusto per il sottile ragionamento filosofico, nutrito della cultura della Scolastica: non per nulla Guinizzelli è di Bologna, la città che è la sede di una delle più prestigiose università europee.
La canzone costituisce infine un esempio perfetto di stile "dolce e leggiadro", cioè di uno stile limpido e piano in contrapposizione alla contorta e artificiosa oscurità guittoniana. Nel Canzoniere guinizzelliano vi sono testi ancora legati al gusto di Guittone, ma la maggior parte dei componimenti è impostata sulla nuova tonalità stilistica, ed offre un campionario dei più tipici temi stilnovistici: la lode dell'eccellenza della donna, paragonata alle bellezze più elette della natura, il valore miracoloso del suo saluto che dona salvezza, gli effetti della passione d'amore sull'amante, che si consuma e strugge. Sono tutti motivi che saranno poi ripresi da Cavalcanti, da Dante e dagli altri poeti.
Oltre a Dante, Guido Cavalcanti (1259-1300) è la personalità più rilevante del gruppo. Fiorentino e di famiglia ricca e nobile, viene descritto da varie fonti del tempo come carattere eletto e sdegnoso, profondamente immerso nella meditazione filosofica, ma anche impegnato nelle lotte politiche del Comune, tanto da essere mandato in esilio nell'estate del 1300 con altri capiparte. L'elevata cultura filosofica è confermata dalla sua canzone "manifesto", Donna me prega.
In un linguaggio estremamente arduo e oscuro vi si espone una concezione dell'amore come passione sensuale, che "luce rade", che esclude ogni controllo razionale. È una concezione che sembra riferirsi ai presupposti dell'aristotelismo radicale, o averroismo, che era diffuso negli ambienti universitari bolognesi, e per cui Cavalcanti provava interesse. Da questa concezione deriva nella poesia, a quanto ci è dato di desumere, una rappresentazione cupa e pessimistica dell'amore come forza oscura e devastante, che si impossessa dell'anima provocando paura e dolore. Perciò ricorrono costantemente nel canzoniere cavalcantiano temi come l'angoscia, il tremore, lo sbigottimento, le lacrime e i sospiri, che conducono l'anima e il corpo alla distruzione.
Caratteristica della poesia cavalcantiana è l'assoluta interiorizzazione di questa esperienza. Tutte le situazioni esteriori della vicenda amorosa, che si potevano trovare, sia pure in forme stilizzate, nella precedente poesia cortese vengono escluse. Nella poesia di Cavalcanti è rappresento un mondo del tutto astratto e irreale, senza spazio e senza tempo, senza colori e senza oggetti, che è l'interiorità stessa dell'anima del poeta. Su questo scenario si proiettano, oggettivati in personificazioni, i suoi moti interiori, che: divengono come gli immateriali attori di un dramma: gli "spiriti", cioè le varie facoltà dell'animo personificate, l'immagine della donna amata, che è pura creazione soggettiva e non ha nulla a che fare con la persona reale, il dio d'Amore, l'anima tremante, la persona stessa del poeta, pallida e distrutta, la "voce sbigottita e deboletta" che esce piangendo "de lo cor dolente" (cfr. T22).
Amico di Dante fu il giurista Cino de' Sigibuldi da Pistoia (1270 ca-1336 01337). Cino presenta già la fisionomia dell'epigono: si ripetono in lui, ridotti a schemi, tutti i motivi dello stilnovismo. E tuttavia nella sua opera si trova un gusto nuovo di indagare l'esperienza psicologica, colta nella sua concretezza immediata, lontana dai rarefatti scenari guinizzelliani o cavalcantiani. Questo passaggio dal piano metafisico a quello psicologico prepara il terreno alla poesia petrarchesca. Anche Dante, nella sua giovinezza, fa parte del gruppo, e scrive liriche in cui riprende temi e forme di Guinizzelli e Cavalcanti.
Ma ben presto da queste tendenze si stacca, per seguire altre direzioni. Segno del distacco è già l'operetta in cui raccoglie parte di queste liriche, corredandole con un commento in prosa, la Vita nuova. Qui la successione studiata delle liriche e il commento che le accompagna trasformano la vicenda amorosa in una complessa vicenda mistica e simbolica, un viaggio a Dio con la donna amata per guida, che prelude da vicino al disegno della Commedia.
La contraddizione tra amore e religione che attraversava tuttas la tradizione della poesia cortese (cfr. Quadro di riferimento I, § 4), è risolta da Dante a favore della religione, con il rifiuto di ogni ambigua contaminazione. Nella Commedia la trasfigurazione teologale dell'amore, per cui la donna, Beatrice, diviene allegoria della Teologia, si accompagna alla condanna senza remissione dell'amor cortese e stilnovistico, visto come sentimento peccaminoso e pieno di insidie.
Nell'episodio di Paolo e Francesca (Inferno, V) Dante denuncia con la profonda partecipazione di chi ha attraversato analoghe esperienze i pericoli insiti nell'amor cortese, che dietro le sue apparenze sublimate cela una passione sensuale che può condurre alla perdizione. Paolo e Francesca infatti sono indotti a rivelarsi il loro amore e a perdersi proprio leggendo dell'amor cortese di Lancillotto e Ginevra, che determina in essi un processo di immedesimazione; e sulle labbra della lussuriosa Francesca dannata in eterno risuonano le formule più tipiche dello stilnovismo, "Amor ch'al cor gentil ratto s'apprende", "Amor ch'a nullo amato amar perdona", "Amor condusse noi ad una morte". Non solo, ma Guido Guinizzelli, pur ammirato da Dante per la sua grandezza letteraria, è collocato nel Purga torio tra i peccatori di lussuria: che è una scelta ricca di significato.
Alla tradizione cortese e stilnovistica si collega sostanzialmente anche la poesia amorosa di Petrarca. Ma ormai ci troviamo in tutt'altro clima di cultura: la poesia diviene scavo nell'interiorità di un'anima tormentata e contraddittoria, e d'altro canto lo stile tende a comporsi in forme limpide ed equilibrate, che risentono del modello dei classici latini.
La lirica amorosa di Petrarca dà inizio ad una nuova tradizione: già nel Trecento nascono i primi imitatori della sua maniera, che si infoltiranno nel Quattrocento e nel Cinquecento, dando origine ad un vero e proprio genere: è il filone del petrarchismo, che rimarrà in vita sino al Settecento. In volgare Petrarca scrive solo le Rime sparse e il poema allegorico già ricordato, i Trionfi: ma, usando il latino, egli fa rivivere i generi classici, come il poema epico sul modello virgiliano e l'epistola ciceroniana (come vedremo nel capitolo a lui dedicato).
La differenza tra l'amore stilnovistico e quello di petrarca
Il tema dell'amore in Petrarca Centro ispiratore della lirica petrarchesca è l'amore per Laura, un' amore che, pur restando saldo e costante, si modifica negli anni seguenti seguendo il progressivo maturare dell'animo del poeta. Certamente Petrarca ha ereditato un patrimonio, di temi, situazioni, immagini, tecniche espressive da tutta la tradizione stilnovista ma vi ha introdotto innumerevoli elementi di novità e di originalità che riguardano sia la rappresentazione della donna sia lo stato d'animo del poeta innamorato. Nella lirica petrarchesca torna il motivo della lode dell'amata, tipico del Dolce Stil Novo, che però ora è rivolto alla bellezza fisica più che alle doti morali. All' immagine della donna-angelo anch'essa di origine stilnovista, si è sostituita quella di una creatura bella e desiderabile per la quale il poeta prova un amore tutto terreno anche se inappagato. La staticità della donna stilnovista fissata per sempre in una eterna giovinezza viene capovolta nella mutevolezza e vitalità della Laura petrarchesca collocata sullo sfondo di paesaggi naturali nei quali ricorrono due elementi mobili per eccellenza il vento (aura) e l'acqua. Inoltre Laura è rappresentata nella diverse stagioni della sua vita: alla creatura splendente di giovinezza si affianca l' immagine di una donna spenta ma pur sempre amata dal poeta. Quanto alla concezione dell'amore è ormai venuto meno in Petrarca l' idea stilnovista dell'amore- virtù, strumento di perfezionamento interiore e di avvicinamento a Dio. IL sentimento amoroso è tutto terreno e porta con sé il pentimento, il senso del peccato, il conflitto tra Bene e Male. Questi temi vengono espressi in uno stile armonico in cui il lessico e immagini si richiamano da un componimento all'altro. Caratteristiche fondamentali del linguaggio petrarchesco: La voluta limitatezza del lessico che evita i termini troppo realistici o violentemente espressivi, i vocaboli rari e quelli dialettali; Semplicità delle strutture sintattiche nelle quali la coordinazione prevale sulla subordinazione e ricorrono frequentemente coppie e antitesi. Questo tipo di lingua, proprio per la sua medietà, uniformità e armonia, ha fatto scuola, imponendosi come modello in situazioni culturali diverse e lontane nel tempo. La rappresentazione di Laura risulta più viva e terrena rispetto alle descrizioni nel Dolce Stil Novo dove i ritratti femminili rimangono inalterati. Livello sintattico e lessicale Dal punto di vista sintattico troviamo nel sonetto l'intreccio di tempi verbali che oscillano tra passato e presenta, sottolineando il trascorrere del tempo e i mutamenti che esso porta con sé. I tempi verbali adoperati sono 3: una serie di IMPERFETTI descrittivi collocati all'inizio dei versi ,che hanno la funzione di proiettare nel passato e quindi nel ricordo la bellezza di Laura e che danno l'idea della continuità (erano, avolgea, ardea, avea, era, sonavan…); tre verbi al passato remoto che isolano all'interno della continuità del passato un evento unico e irripetibile: il primo incontro del poeta con la donna amata (arsi, fu, vidi…); due presenti (son, sana). Il primo verbo è rafforzato da “or”. Il valore della due forma verbali non è comunque uguale. La prima forma verbale viene utilizzata per mettere a fuoco lo scarto temporale piuttosto netta tra passato e presente e per sottolineare la fugacità della bellezza. ? un presente atemporale con un carattere sentenzioso che intende esprimere la perennità dell'Amore del poeta.
TEMA SVOLTO SULLA FUGURA DI BEATRICE
DANTE ALIGHIERI
Nella “Vita Nova” Dante raffigura Beatrice nella sua umanità, mettendo in luce quella fisicità della donna, che nello stilnovismo era diventata effimera..
La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.
A differenza del “Dolce Stilnovo”, Dante raffigura l’astratto con forme e figure concrete e non con personificazioni ed allegorie.
L’immagine di Beatrice, con la sua bellezza pura ed il suo animo colmo di beatitudine, ha la funzione di portare alla luce l’interiorità del poeta e di avviare quel rinnovamento che culminerà poi nella “Divina Commedia”.
L’incontro con Beatrice rappresenta un’esperienza di tipo mistico, affine a quelle elaborate dai teologi medioevali precedenti Dante.
Anche Dante, mediante l’amore per Beatrice, compie un itinerario ascendente che porta la sua anima alla contemplazione del cielo.
L’incontro con Beatrice è predestinato dall’alto. L’apparizione della donna porta beatitudine non solo a Dante, ma anche a tutti quelli come lui.
Nove anni dopo, Ella riappare vestita di bianco ed in questa occasione lo saluta. Il saluto di Beatrice è un’esperienza di estasi e di rapimento.
Il saluto rappresenta da un lato accoglienza ed omaggio, e dall’altro il saluto dell’anima, cioè la salvezza.
Di questo evento provvidenziale si possono notare tre momenti diversi: la donna che appare produce un effetto di carità; prima del saluto c’è uno squilibrio dei sensi; il senso provoca la beatitudine statica.
La negazione del saluto provoca di conseguenza il dolore, perché esclude la pienezza spirituale, cioè la beatitudine.
TEMA SVOLTO SULLA FIGURA DI LAURA
FRANCESCO PETRARCA
A differenza di Beatrice, che ha precisi legami con il simbolo e con la scolastica, Laura, la donna cantata da Petrarca, appare nella sua personalità di donna.
Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.
La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.
Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.
La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.
Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.
La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità.
TEMA SVOLTO SULLA FIGURA DELLA DONNA IN BOCCACCIO
LA DONNA IN BOCCACCIO
Nelle novelle del Decameron si ritrovano elementi della concezione cortese dell’amore: il culto della donna da parte di Federico degli Alberighi, Nastagio degli onesti che si strugge per un oggetto irraggiungibile.
Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.
Le nuove schiave: faccia a faccia con la prostituzione in Puglia
lunedì 30 aprile 2007
Le nuove schiave: faccia a faccia con la prostituzione in Puglia
La schiavitù è stata abolita? Niente affatto! Esiste e si perpetua ogni giorno proprio sotto il nostro naso, non nei paesi del Terzo Mondo, ma nel ricco e civile Occidente. La moderna tratta umana si chiama “prostituzione” e a riportare alla ribalta l’argomento è stato il dibattito sull’abolizione della legge Merlin ( la legge del ‘58 che ha abrogato le case chiuse). Da allora il fenomeno non si è per nulla ridimensionato, anzi,è diventato un eccezionale business su cui hanno messo le mani i boss emergenti della nuova mafia dell’est. A renderlo così appetibile le pene relativamente contenute inflitte agli sfruttatori e gli alti guadagni ( una prostituta rende al suo sfruttatore ogni mese dai 5000 ai 7000 euro).
La Puglia, secondo le Forze dell’Ordine, soprattutto in seguito allo smantellamento del contrabbando, è diventata il punto di snodo principale a livello internazionale del traffico di ragazze destinate al marciapiede. Proprio per la sua posizione geografica, è il luogo dove arrivano le clandestine, vengono esposte nude come delle bestie al mercato e vendute in vere e proprie aste. Poi sono seviziate finché non si piegano ai loro aguzzini e intraprendono la “professione”, a questo punto vengono esportate in una grande città del nord. In questo quadro agghiacciante la malavita pugliese, e soprattutto quella salentina, ha un ruolo importante nel definire gli aspetti logistici del traffico. A riprova di ciò alcuni recenti fatti di cronaca.
Nel settembre del 2002, nell’operazione “Vie libere”, condotta dalle Questure di Bari, Brindisi e Lecce, vi furono centinaia di arresti in 12 regioni italiane; in provincia di Bari furono state arrestate 29 persone e 77 denunciate, mentre 27 extracomunitari - gran parte dei quali donne - coinvolti in fenomeni di prostituzione, furono accompagnati in Questura per l’identificazione e espulsione; le donne extracomunitarie fermate erano in maggioranza sudamericane (colombiane, ecuadoregne e brasiliane) e per il resto nigeriane.
Nell’agosto dello stesso anno commosse l’Italia la storia di una quindicenne rumena, letteramlemte ridotta in schiavitù e tenuta segregata ad Otranto. Era partita dalla Romania con la promessa di trovare un lavoro da baby sitter in Italia: ma come per tante ragazze prima di lei, l’arrivo sulla costa pugliese significò l’inizio di una vita di segregazione, violenze e prostituzione.
Ma qual è la reale entità del fenomeno? Secondo un’indagine condotta dalla Commissione Affari Sociali della Camera, le prostitute sarebbero un esercito compreso fra 50 e 70mila. Fra loro circa 25mila le immigrate e 2mila le minorenni. Il 65% lavora in strada, il 29,1% in albergo, il resto riceve in casa. Non sono però tutte donne: lo 0,8% sono travestiti ed il 5% transessuali, questi ultimi molto richiesti per delle performance di sesso estremo; mentre nell’80% dei casi il sesso a pagamento, di qualunque specie sia, non è protetto da preservativo. Il tutto per un giro d’affari che, secondo l’Eurispess, è di circa 3mila miliardi l’anno di vecchie lire.
I clienti chi sono? I clienti sono tra i nove e i dieci milioni, di cui circa 5-600 mila donne.
Gli uomini che scelgono il sesso a pagamento sono per lo piu' impiegati, professionisti, commercianti ma non mancano gli studenti; il 4% dei clienti non e' neanche maggiorenne, mentre piu' del 21% ha tra i 19 e i 25 anni, il 70% e' sposato.
Quanto alla distribuzione geografica poco piu' del 50% delle prostitute immigrate lavora al Nord, poco meno del 40% al Centro e una piccola minoranza al Sud e nelle Isole. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazze fatte venire in Italia con la promessa di una vita migliore. In particolare al 42,9% di esse era stato promesso un lavoro, nel 29,5% si tratta di clandestine, il 16,1% e' stato vittima di rapimento nel proprio paese, il 3,8% e' stato sequestrato in Italia ed infine, e' presente un 7,8% di donne sfruttate dai fidanzati.
Le straniere provengono principalmente dall'Europa dell'Est (48%), dall'Africa (22%) e dal Sud America (10%).
E sono proprio le straniere fare la vita peggiore. I problemi che le lucciole straniere devono affrontare sono molti, primo fra tutti, sembra incredibile, poter continuare a prostituirsi! La maggior parte di loro, per la legge italiana, praticamente non esiste perché priva del permesso di soggiorno. Se scoperte come clandestine, vengono rispedite in patria e qui trovano quelle condizioni di vita impossibili che le avevano convinte ad emigrare. C’è poi l’accoglienza della loro famiglia, non sempre tanto calda. Una ragazza che si prostituisce in Italia, infatti, assicura con le sue rimesse, la sopravvivenza ad una famiglia di 5-6 persone in un Paese del Terzo Mondo. Ma non è tutto, può capitare che siano gli stessi padri ad aver venduto una figlia ad uno sfruttatore per ottenere in cambio una cifra che si aggira sui 2500-3500 euro, dunque lo stesso padre non accetta di riprendere in casa quella figlia.
Le prostitute di colore devono fare i conti con la concorrenza. I clienti italiani preferiscono le donne bianche, la cui prestazione è pagata circa 25 euro, mentre le nere devono accontentarsi di 20. Il nemico più pericoloso è l’hiv. Si stima che in Italia la più consistente via di trasmissione sia la prostituzione appunto. Mentre secondo don Oreste Benzi dovrebbero essere i clienti a risarcire le ragazze quandole contagiano, una volta diventate sieropositive hanno difficoltà ad accedere alle cure, oltre che timore di recarsi in ospedale. Le clandestine vengono rispedite in patria ed in Nigeria, ad esempio, chi ha contratto l’Aisds viene internato nei “cronicari”, una vie di mezzo fra un carcere ed un sanatorio, dove è costretto a rimanere finché non muore. Le nigeriane sono poi intimidite dai riti voodo che le protettrici fanno ai loro danni. Per evitare il malocchio e proteggere da quest’ultimo la propria famiglia, le ragazze si sentono obbligate a vendersi. Se non c’è un motivo religioso ce n’è uno economico: le nigeriane arrivano in Italia come clandestine ed il “biglietto” d’accesso all’Europa costa circa 60-70 milioni di lire: per estinguere il loro debito con i trafficanti di clandestini devono prostituirsi.
Anche avere un pezzo di marciapiede a disposizione è un problema. I luoghi dove si “batte” sono rigorosamente parcellizzati dalla malavita locale che li affitta ad ogni prostituta a circa 1000 euro al mese. Il motivo che più spesso è alla base delle risse fra le lucciole è proprio l’occupazione “abusiva” di un marciapiede.
Un capitolo a parte è quello della prostituzione minorile. Un fenomeno meno visibile ma assai più preoccupante. In Italia le minorenni ed i minorenni, non possono prostituirsi, e le pene per chi sfrutta sessualmente i bambini sono abbastanza severe. Minori che si prostituiscono per strada non se ne vedono, si prendono strade diverse: il turismo sessuale e lo sfruttamento in casa.
Secondo l'Eurispes, il fenomeno della prostituzione minorile ha avuto, nel corso di pochi anni, un incremento del 200%, raggiungendo, in termini di ''fatturato'' i cinque miliardi di dollari l'anno.
I paesi maggiormente coinvolti sono il Brasile dove si stimano 500mila minori prostituti, il Peru' (500mila), l'India (300/500 mila), la Cina (200/500 mila) e la Tailandia (200/300 mila).
"Il fenomeno del turismo sessuale in danno di minori - spiega Patrizia Miazzo, responsabile dell'ufficio stampa di Terres des Hommes Italia - gode della più assoluta impunità. Un italiano all'estero che commette un reato di violenza o di sfruttamento sessuale di un minore non rischia niente e non è di fatto perseguibile penalmente. In questi Paesi in Via di Sviluppo (PVS), dove la corruzione è endemica e dove le leggi vigenti siano in taluni casi severissime, le autorità locali lasciano correre e al massimo, se si viene scoperti, si finisce in camera di sicurezza per qualche giorno e poi si viene rilasciati senza nessuna conseguenza."
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Sembra lo stesso il racconto di L., anche lei straniera, anche lei tradita da un uomo, anche lei liberata dalle Forze dell’Ordine che la arrestano; la sua storia è stata raccolta da due detenute sue compagne. <<>>
Ed è proprio la “liberazione” di queste nuove schiave ciò che appare un obiettivo imprescindibile per tutta la società civile. Della prostituzione, quasi poetica, cantata in alcune canzoni o raccontata nei romanzi, oggi, non vi è traccia. Come mostrano i dati e, come confermano le storie, vendere il proprio corpo non è quasi mai una scelta, e dietro a questo fenomeno c’è una realtà tristissima di sfruttamento e di violenze, ma anche un colossale business per criminali senza scrupoli, ed anche tanta umanità. Forse dovrebbero tenerlo a mente i dieci milioni di italiani che, essendo “clienti”, alimentano questo traffico. Forse potremmo tenerlo a mente tutti noi.
Pubblicato da Francesca D'Abramo a 10.32
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