03/12/2009 13:08
Sommario:
1)Gli omissis del rito di Ida Dominijanni
2)La pillola scomunicata di Mariuccia Ciotta
3)Burkini e delitto d'onore di Ines Valanzuolo
4)Escort sauvage dalla redazione del Paese delle donne
5) Recensione: "Risveglio a Parigi" di Margherita Oggero
1)
COMMENTO | di Ida Dominijanni Il Manifesto 26 novembre 2009
VIOLENZA
Gli omissis del rito
Sovrapporre al viso di Michelle Obama quello di una scimmia e mandare quest'opera d'arte in rete (Google immagini) è violenza contro una donna. Definire Veronica Lario velina ingrata è violenza contro una donna. Sfottere Rosi Bindi in tv dicendole che è più bella che intelligente è violenza contro una donna. Difendere Berlusconi sostenendo che è solo l'utilizzatore finale delle escort reclutate da Tarantini è violenza contro le donne. Piccolo memorandum contro la riduzione della giornata internazionale sulla violenza contro le donne a geremiade rituale e ipocrita, del governo e dell'opposizione.
La geremiade contempla ogni anno dati sconfortanti, provenienti dal nord come dal sud, dall'ovest come dall'est del mondo: per dirla con il presidente della Repubblica, matrimoni forzati, mutilazioni genitali, stupri di guerra in contesti lontani che non devono oscurare l'ordinario scempio che permane nei contesti vicini (solo in Europa, fra i 16 e i 44 anni ne uccide più la violenza che il cancro o gli incidenti stradali). Contempla ormai anche, ed è un risultato delle battaglie femminili, la denuncia del fatto che la maggior parte delle botte e degli stupri arrivano in casa da mariti, fidanzati ed ex fidanzati, e non in strada da estranei o stranieri. Quest'anno si arricchisce però di due significative novità. La prima, di governo, è l'autoglorificazione di Mara Carfagna per aver introdotto il reato di stalking, aumentato le pene per i partner violenti, istituito la difesa gratuita per le vittime: «fatto, fatto, fatto», noto spot berlusconiano. La seconda, di governo e d'opposizione, è l'accusa alla cultura «consumistica e mercificatrice» dei media, che fa strame del corpo femminile in tv e autorizza i maschi a farne strame nella vita. Giusto? Giusto. Nient'altro? Nient'altro.
Prendersela con la responsabilità impersonale della tv va sempre bene, e va meglio se serve a glissare su fatti e nomi specifici. La gamma della violenza contro le donne è vasta e multiforme. C'è lo stupro, c'è lo stalking, ci sono le botte. Ma c'è anche il linguaggio, il linciaggio, la calunnia. La seconda categoria spesso non è meno annichilente della prima, e non è meno diseducatrice della tv. Veline usate come esche per drenare voti, ragazze-immagine usate per il divertimento dell'imperatore, mogli accusate di alto tradimento con le guardie del corpo, amanti di una notte minacciate di essere spedite in galera per 18 anni, trans gettate come fenomeni da baraccone nell'arena mediatica; e in ognuno di questi casi, l'uso del linguaggio come arma misogina contundente. L'anno avrebbe meritato una giornata contro la violenza davvero speciale, con qualche verità in più e qualche ipocrisia in meno.. Dei riti, invece, non sappiamo che farcene.
2)
* EDITORIALE | di Mariuccia Ciotta Il Manifesto 27 novembre 2009
LA PILLOLA SCOMUNICATA
Proteggere la donna da se stessa e impedirle di assassinare a cuor leggero l'embrione che è già essere umano al momento del concepimento, secondo madre chiesa. È questo lo spirito (santo) con cui la commissione sanità del senato ha bloccato ieri l'immissione in commercio della pillola Ru486, che materialmente e psicologicamente alleggerisce l'effetto dell'aborto chirurgico. Un uso della forza quello espresso dall'«inquisizione» governativa che andrebbe catalogato tra le innumerevoli varietà di violenza sulle donne denunciate in questi giorni.
L'indagine parlamentare, voluta dal sensibile Gasparri, si è nascosta dietro la necessità di verificare la compatibilità della pillola con la legge 194 e di garantire la salute delle donne dopo che l'Agenzia italiana del farmaco ha dato il via libera e imposto la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale entro il 19 novembre. Ma contro il «freddo» parere scientifico la maggioranza ha fatto appello al ministero della salute, che non è chiamato a verificare l'efficacia e la non pericolosità della Ru486, in uso da anni nei paesi europei, ma a stabilirne i limiti «morali», a trasformarla da farmaco che dà sollievo in alchimia diabolica da «monitorare».
Lo stop è di per sé un atto intimidatorio, al di là delle formule tecniche di applicazione, espediente per fermare la circolazione della pillola e formulare una serie di obblighi confusi e contradditori, come il ricovero ospedaliero, «necessario» secondo il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella, ma non «coatto», ovvio visto che per legge è escluso comunque il «fermo» del paziente contro la sua volontà. «Fondamentale la presenza del medico durante l'intera procedura di aborto» sostiene però Roccella e no al «regime di day hospital» (ostacolando la libera scelta della paziente), come sancirà il governo nell'interpretare la delibera dell'Aifa a sua immagine e somiglianza.
L'intenzione è quella di rendere indisponibile in tutti i modi possibili la pillola, di mettere la donna di fronte a ostacoli e paure, di obbligarla a sottoporsi a un iter drammatico - ispezioni mentali e fisiche - e al no degli obiettori. In tutto questo non c'è solo l'ombra del Vaticano, ma la concezione di un governo che mentre fa sfoggio di dissolutezze private e discute se riaprire bordelli comunali pretende il controllo sulla vita. Decide ciò che è bene e ciò che è male, quando essere cattivo e scatenare i «white christmas» e quando farsi dispensatore di principi etici e medici. Il governo come santone, capo-talebano, arbitro divino.
La donna manipolabile, corpo multiuso, è di nuovo il trofeo da esporre, più si umilia più la partita è vinta. Più si considera incapace di discernere sulla sua stessa salute, di decidere se rivolgersi a un ospedale oppure no, visto che la Ru486 non è una passeggiata, più l'immagine padronale si gonfia di potere. E dire che proprio in queste ore il parlamento spagnolo ha approvato la proposta che consente alle minorenni di interrompere la gravidanza senza avvisare i genitori. Lì minorenni, qui minorate.
Da Il Paese delle Donne on line
3)
venerdì 27 novembre 2009
Burkini e delitto d'onore
di Ines Valanzuolo
*Il 18 agosto 2009 in una piscina di Verona una donna mussulmana si tuffa in burkini, cioè con pantalone fino alla caviglia, tunica lunga e cappuccio a coprire testa collo e spalle. Le reazioni sono scontate: curiosità, perplessità, intervento del direttore dell'impianto che chiede alla donna la composizione del tessuto del «burkini» per verificare se può essere usato in una piscina pubblica e, dopo alcuni giorni, ecco* il divieto dell'uso del Bukini* o *la multa di 500 euro* da parte del sindaco di Varallo Sesia, in Piemonte.*
Ad agosto sembra solo un argomento, tra i tanti circa l'immigrazione, da ombrellone. Certo, il burkini potrebbe diventare semplicemente una moda, l'aumento delle vendite a livello mondiale lo testimonierebbe, o anche uno strumento di seduzione efficace in tempi di corpi sovresposti, oltre a restare fonte di polemica politica infruttuosa tra destra e sinistra.
Il disagio però è persistente e inquietante: a Verona questa donna, sospettata anche di essere una provocatrice/attrice, ha recitato un categorico duplice divieto: quello della cultura islamica, non spogliarsi, quello della attuale (penso alle foto di mia nonna in spiaggia!) nostra cultura, non bagnarsi vestita. La sua, se è commedia, è voglia di comunicare e ritorna in mente nella tragedia di settembre, quando un'altra donna di origine islamica, *Sanaa, migrante di seconda generazione,* muore, consapevole di aver proposto, senza possibilità di mediazione, la violazione di un altro divieto: la convivenza con un giovane italiano, senza consenso della famiglia e della sua comunità, senza matrimonio.
Tra il divieto della nudità e il libero amore con un miscredente c'è distanza, almeno nelle conseguenze. Al centro però c'è sempre *un corpo di donna che si impone e dà scandalo, che deve essere controllato, coperto, negato, eliminato*. Intorno non c'è solidarietà, solo conflitto tra ciò che si ha alle spalle e ciò a cui si aspira. Ci sono anche, sempre, donne islamiche complici della loro cancellazione, che accettano in silenzio, o che prendono parola, soprattutto rivendicando una loro originaria identità cultural/ religiosa in paesi di immigrazione e donne occidentali emancipate, libere(!) che le sostengono o consapevoli dei loro burkini segreti o desiderose di non sentirsi razziste.
Questo scandalo mette in moto una scontata, in alcuni casi generosa e sapiente sequela di pareri, riflessioni, inchieste, articoli sulle cause profonde o immediate: la religione islamica e il ruolo attribuito alla donna; la violenza di genere eterna e uguale in qualsiasi luogo contro la donna libera, il razzismo politico/partitico, di destra, di sinistra.
Sappiamo tutto o quasi sulle cause, poco sulle soluzioni, rese urgenti dalle rapide dinamiche della globalizzazione. Aspettiamo risposte dai partiti, dalla politica corrente che non è mai riuscita, se non con lentissimi e totalizzanti movimenti, ad intervenire in modo adeguato nei conflitti di genere, che non ha mai considerato le pratiche e le elaborazioni teoriche delle donne.
*Partire da sé per capire e trovare soluzioni: autocoscienza.* Una pratica del femminismo anni '70 può essere utile a livello individuale e collettivo. Richiede tempi lunghi, quelli delle rivoluzioni profonde e permanenti. Consideriamo *qualche momento importante della storia delle donne nella nostra storia del '900*.
Nel 1966 si celebrò *il processo di Franca Viola*, figlia di una coppia di coltivatori diretti che era stata rapita, violentata e quindi segregata per otto giorni da Filippo Melodia, spasimante mafioso respinto. Secondo la morale del tempo, rapita e stuprata per otto giorni, liberata avrebbe dovuto sposare il rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. Questa morale era sostenuta dalla legislazione italiana che, all'articolo 544 del codice penale, ammetteva il matrimonio riparatore, considerando la violenza sessuale come un oltraggio alla morale e non alla persona.
Franca Viola non accettò il matrimonio riparatore. Filippo Melodia fu condannato a 11 anni di carcere La famiglia Viola, che aveva contravvenuto alle regole di vita locale, fu soggetta ad intimidazioni: il padre venne minacciato di morte, la sua vigna fu rasa al suolo. Il caso sollevò in Italia forti polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari.
Franca Viola divenne, in Italia e in Sicilia, un simbolo di libertà e dignità per tutti ma l'articolo 544 del codice penale fu abrogato, 15 anni dopo, dall'articolo 1 della legge 442, emanata il 5 agosto 1981, che elimina la facoltà di cancellare una violenza sessuale tramite un successivo matrimonio. Franca aveva l'età di Sanaa. Come ha potuto mettere in moto, per prima, questo processo di liberazione personale e di democratizzazione della società italiana tutta?
Non illudiamoci, *non è preistoria e chi scrive, e forse chi legge, ha seguito il processo.* Sapevamo che *sola avrebbe fatto la fine di Sanaa*, o avrebbe accettato l'esecrazione come tante ragazze islamiche che oggi rifiutano burka, burkini, infibulazione ed altro, se non ci fosse stata una lenta e sotterranea corrente culturale che cominciava a collegare alla dignità della donna quella di una intera famiglia e di una nazione tutta.
Alcuni uomini avevano ascoltato, capito, a cominciare dal padre, un semplice coltivatore diretto, per finire con alcuni giudici, una parte della stampa....La legge arrivò più tardi, quando il nuovo finalmente emerse con chiarezza.
Oggi nell'incontro di culture diverse *le relazioni tra immigrati, donne e uomini, quelle di noi italiani con loro, sono improntate ad incapacità di ascolto, a presunzione di risoluzioni rapide, segnate dal rifiuto o dall'accettazione incondizionata o dalla legge a colpi di maggiaranza.* C'è poi la vita quotidiana che stenta a trovare un nuovo equilibrio, mancando: adeguata formazione dei giovani, modelli di riferimento, accettazione del diverso, conoscenza delle regole della convivenza civile, rispetto delle reciproche civili abitudini dell'ospitalità.
/articolo pubblicato su "Critica liberale", volume XVI, n167-169, settembre-novembre 2009/
4)
Da Il Paese delle Donne on line
venerdì 27 novembre 2009
Escort Sauvage
di Redazione
*Riprendiamo dal sito globalproject.info la seguente informazione sulla manifestazione che Studentesse e precarie in solidarietà con le sex workers hanno messo in atto oggi, 27 novembre, davanti Palazzo Grazioli.*
*Escort sauvage
*...Non c'è casa più chiusa di Palazzo Grazioli**
Oggi 100 donne, studentesse, precarie, migranti hanno manifestato di fronte a Palazzo Grazioli contro il ddl Carfagna e il blocco alla commercializzazione della RU486, approvato ieri dalla commissione salute del Senato.
Nonostante l'inutile aggressività della polizia le donne sono riuscite ad aprire uno striscione con su scritto: "NESSUNA CASA E' PIU CHIUSA DI PALAZZO GRAZIOLI. NO ALLA LEGGE CARFAGNA".
*Rossetti rossi e ombrelli rossi,* simbolo internazionale delle sexworkers, sono stati i simboli scelti per comunicare la nostra solidarietà alle prostitute di strada che con la nuova proposta di legge rischiano l'arresto. Tra gli slogan "Ma quali Escort, ma che moralità, vogliamo diritti in tutte le città", "Basta ipocrisia, basta sfruttamento, libere di scegliere in ogni momento".
L'azione ha voluto denunciare le politiche di governo e parlamento contro la libertà di scegliere delle donne, che si concretizzano in misure e proposte di legge che in nome della sicurezza perimetrano la nostra libertà e controllano i nostri corpi.
*Il comunicato*
La giornata mondiale contro la violenza sulle donne in Italia cade nel pieno del secondo scandalo di "sesso e potere" dell'anno. Dopo le escort di Berlusconi arrivano le trans di Marrazzo.
E le imbarazzanti rivelazioni sui meccanismi di reclutamento delle donne interni alla PDL e per le cariche elettive e di governo lasciano il posto all'ennesimo mistero italiano, l'omicidio di Brenda, in cui potere politico, criminalità organizzata e carabinieri si sovrappongono e confondono in un quadro inquietante.
Ma non sono serviti gli scandali e le rivelazioni sulle abitudini, i gusti e la propensione al sesso a pagamento di alcuni suoi eminenti rappresentanti a costringere la classe politica italiana ad abbandonare le ipocrisie e a fare i conti con la realtà.
Mentre l'opposizione, bacchettona e morbosa, inorridisce di fronte alle frequentazioni tanto di Berlusconi che di Marrazzo e lancia la crociata anti-Berlusconi parallelamente alle purghe interne, abbiamo una maggioranza di governo che fa passare con la solita scusa della sicurezza la legge Carfagna contro la prostituzione, il cui leader Berlusconi rivendica per sè il diritto alla privacy. La libertà è di tutti e non solo delle alte cariche dello stato: se Palazzo Grazioli è zona franca, allora entriamo noi!
La legge Carfagna, anticipata dalle ordinanza dei sindaci, vuole apparentemente essere un intervento punitivo contro lo sfruttamento della prostituzione, ma in realtà, invece che punire gli sfruttatori, colpisce solo le prostitute di strada e i loro clienti con l'arresto, additandole tra i nemici pubblici numero uno. Lungi dal contrastare la tratta delle migranti spesso minorenni, costringe le prostitute a ritornare alle case chiuse -- bandite dalla legge Merlin del 1958 -- luoghi di ghettizzazione, sfruttamento e violenza fuori da qualsiasi visibilità e controllo. Molto più utile sarebbe abolire lo status di clandestinità, condizione sine qua non dello sfruttamento sessuale e non delle e dei migranti.
Tutto questo accade mentre le statistiche parlano di una fetta sempre più ampia della popolazione maschile che ricorre al sesso a pagamento. In più il caso D'Addario ha reso esplicito che la prostituzione non è fatta soltanto di sfruttamento e costrizione ma può essere una libera scelta per quanto per alcuni difficile da comprendere.
Nel momento in cui le prostitute e i loro clienti hanno avuto tale e tanto "autorevole" visibilità ci saremmo aspettate maggior rispetto per delle lavoratrici e maggior onestà nell'ammettere che non si può punire e condannare pubblicamente ciò di cui si gode nel privato delle proprie case.
Infine, apprendiamo con indignazione che ieri la commissione salute del Senato ha votato un documento che pone il veto alla commercializzazione della RU486, la pillola abortiva al centro del più ampio dibattito sulla libertà di scelta.
Le inquietanti motivazioni di tale voto sono l'ennesima testimonianza di come ad avere la giusta rilevanza non sia il tema della tutela della salute fisica e psicologica e della libertà delle donne ma, al contrario, la necessità di costruire sempre più capillari e intrusive pratiche di controllo sui nostri corpi.
No al reato di clandestinità
No alle case chiuse
No alla segregazione e allo sfruttamento
Per il diritto di scegliere della propria vita e sul proprio corpo
Verità per Brenda
Libertà, diritti e dignità per tutt@
*Studentesse e precarie in solidarietà con le sex workers*
5)
''Lascio il giallo e ritorno ragazza tra la Mole e Parigi'' ''E' la storia di tre giovani donne in viaggio''
Una copertina molto evocativa, con la Tour Eiffel e la Senna sullo sfondo, gia' lascia intuire una trasferta. Che, per MARGHERITA OGGERO, la «mamma» della prof. Camilla Baudino, non e' solo uno sconfinamento dall'ombra domestica della Mole alla capitale d'Oltralpe, ma un viaggio, ben piu' impegnativo, fuori dal perimetro, ormai familiare, del «giallo». Verso il romanzo tout-court. Ma, per la gioia del lettore, interrogativi, suspense e colpi di scena, abbondano, tra le pagine di «Risveglio a Parigi», edito da Mondadori e dedicato alle vicende di Barbara, Silvia e Mariangela, amiche trentenni sull'orlo di una crisi esistenziale. Una bella avventura, sfilarsi i panni da Miss Marple sabauda e calarsi nella vita di tre ragazze un po' incasinate. Perche' questa scelta, signora OGGERO, perche' tradire il giallo, che le ha dato tante soddisfazioni? «In realta' l'avevo gia' fatto in passato, pubblicando due favole per adulti che non avevano nulla del poliziesco. Questa volta mi sono messa alla prova con la narrativa, fuori dai generi, anche per una sfida con me stessa, per vedere se ci riuscivo. Ho voluto anche dare ascolto a un caro amico, Giovanni Tesio, che mi spronava da sempre in questo senso». E cosi' ha scritto un romanzo di formazione. «Dovendo definirlo, direi piuttosto un romanzo di crescita, centrato attorno a un viaggio, che aiuta le protagoniste a mettere a fuoco la loro esistenza, a misurarsi con il passato e ricalibrare il presente». Sino a un finale amarognolo? «Non direi. Anzi, per una delle tre donne, si apre uno scenario di probabile svolta, in senso positivo. Quanto alle altre due, senza svelare troppo, si puo' dire che guadagnano consapevolezza. E tutto questo anche grazie a un bambino che accompagna il terzetto nel viaggio a Parigi. Una presenza che, dapprima viene percepita come seccante dalle protagoniste, ma che si rivela poi cruciale». Chi e' questo bimbo? «Si chiama Manuel, e' il figlio di Mariangela, che lo ha allevato da sola, dal momento che il padre del piccolo l'ha abbandonata appena saputo della sua gravidanza. E' un bambino di otto anni, piuttosto difficile e riottoso, ma bizze e capricci servono a dissimulare sofferenza, disagio. E proprio misurarsi con questo difficile universo infantile, aiutera' le tre donne a rileggere, ciascuna, il proprio vissuto». Chi sono le protagoniste della storia? «Mariangela e' figlia di immigrati calabresi e lavora in uno studio medico, Barbara, orfana di mamma, viene da una famiglia molto ricca e Silvia, che si e' diplomata al Conservatorio sognando di suonare in un'orchestra, insegna musica alle medie. Tre donne molto diverse fra loro, gia' compagne di scuola, che decidono, a molti anni di distanza, di realizzare un desiderio adolescenziale, ovvero il tour parigino». Nel romanzo della «svolta», MARGHERITA OGGERO lascia dunque, oltre al giallo, anche la sua citta', in favore di Parigi? «Parigi e' lo sfondo principale della storia, ma Torino e' presentissima, anche perche' il romanzo e' articolato come intreccio di narrazioni, in prima persona, dei diversi personaggi, tra flash, ricordi, racconto. C'e' la Torino di San Salvario, dove Mariangela ha casa, ci sono le pizzerie periferiche e i ristorantini del centro, c'e' piazza San Carlo, ma pure le immagini di una citta' surreale e svuotata, com'era negli anni Sessanta, in agosto, quando chiudeva la Fiat. Inseguendo le memorie di Stefano, un gay disegnatore di fumetti, molto amico di Barbara, si arriva sino alle colline del Monferrato».
Silvia Francia
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