Trovatori e «amor cortese». L'epoca dei trovatori: opere e protagonisti

Nell'amplissimo contesto della letteratura universale l'opera dei trovatori, nettamente delimitata nello spazio e nel tempo - la Francia meridionale dei secoli XI e XII - costituisce un fenomeno unico e irripetibile. Un'arte aristocratica strettamente legata a tutti i grandi eventi del tempo (le crociate, i traffici con l'Oriente, l'eresia catara, i rapporti e gli scontri tra il mondo latino e il mondo sassone), e in una società percorsa dai più agitati fermenti di vita, di pensiero, di fede, di superstizione, in una Europa che aveva al suo interno tutte le frontiere aperte e mobili e tuttavia percorse dalle più gravi contrapposizioni esterne, tra Roma e Bisanzio, Chiesa latina e Chiesa orientale, tra summe teologiche e insorgenti eresie, tra società feudale e civiltà islamica. L'epoca dei trovatori, pur così limitata nel tempo e nello spazio, fu estremamente variegata nelle sue forme ed espressioni, a cominciare da quella, più alta e genuina, di Jaufré Rudel; e anche quando le sue liriche a poco a poco si modificarono e confusero, la loro eco in qualche modo rimase, feconda, nelle forme ed espressioni della poesia che seguì, dal "Dolce Stil Novo" fino all'età moderna. Protagonisti, fatti, curiosità, affiorano vivi, pulsanti e, a tratti, inediti dalle pagine di questo nuovo, altissimo contributo letterario di Enzo Cataldi, ricco di spunti di approfondimento e di rilettura di un periodo affascinante e inquieto, custode di molti segreti ancora da svelare.

La donna nel mondo cavalleresco – cortese


Le prime manifestazioni di letteratura cortese si hanno nella Francia degli inizi del XII secolo. Questa nacque come reazione contro la rigidità dell’etica morale della Chiesa e come sfogo di una spinta alla rivoluzione del modo di pensare e dei costumi.
La letteratura cortese forniva, per il Medioevo, una nuova visione dell’amore, grazie ai trovatori, ai trovieri ed ai romanzieri; un amore fondato soprattutto sulla sublimazione della donna.
I primi furono i poeti di lingua d’oc, che predicavano la bellezza dell’amore, visto non come follia o disonore per l’uomo, ma come saggezza e come un sentimento in grado di esaltare tutte le qualità affettive e spirituali di una persona.
La dama nell’amore cortese è l’estasi di ciascun uomo. L’amante è accecato dalla bellezza della donna, la sua devozione a lei è estrema, egli le è completamente sottoposto e le deve perciò un lungo e totale servizio amoroso, senza mai aspettarsi una ricompensa. La figura femminile è quindi esaltata come la più bella e la più nobile, e per lei l’uomo innamorato perde la sua personalità, trovandosi come un bambino.
Per i romanzieri della Francia settentrionale l’amore era cosa meno casta e la donna provocava piacere, oltre che spirituale, anche carnale. Questo amore occupava maggiore spazio nei romanzi rispetto alle opere dei poeti lirici. Per questo fatto le figure femminili assunsero un rilievo più accentuato, mentre prima l’opera si svolgeva quasi esclusivamente attorno al tema dell’amore come estasi. La dama idolatrata dai trovatori era spesso un essere indefinito, idealizzato, sublimato, mentre l’eroina dei romanzieri era sempre un essere di carne.
La bellezza fisica della donna seduceva il cavaliere quasi quanto la sua perfezione morale, poiché l’amore nasce dall’attrazione fisica in primo luogo. Anzi, dalla seconda metà del XII secolo, l’idea che si abbia un’identità tra bontà e bellezza prese sempre maggiore diffusione, per il principio che una bella apparenza non può che riflettere ottime qualità interiori, la bellezza era data da un’immagine molto convenzionale, che corrispondeva agli stereotipi della moda. Fondamentalmente la pelle doveva essere chiara, il viso ovale, i capelli biondi, la bocca piccola, gli occhi azzurri e le sopracciglia disegnate. Secondo Marie de France, la damigella ideale doveva avere queste qualità:
“Ha il corpo ben fatto, i fianchi stretti, il collo più bianco della neve su un ramo. I suoi occhi sono grigio-azzurri, il viso chiarissimo, la bocca gradevole ed il naso regolare. Ha le sopracciglia brume, la fronte ampia, i capelli ricciuti e biondissimi. Alla luce del giorno sono più luminosi dell’oro.”
Anche se poco descritte dai poeti, le altre parti del corpo femminile sono le gambe lunghe, il seno piccolo e , generalmente, la donna doveva essere esile e slanciata.

Le tre scuole, siciliana, siculo-toscana, stilnovo

Descrizione breve ma concisa delle tre scuole poetiche per eccellenza del'200-'300: quella siciliana, quella siculo-toscana, e quella del Dolce Stil Novo



Le Tre Scuole: siciliana, siculo-toscana, stilnovo


LA SCUOLA SICILIANA Nella produzione poetica siciliana si riscontra una comunanza di temi e di stili riconducibili alla presenza di un caposcuola, Iacopo da Lentini, che rielabora il modello provenzale. Con i siciliani la poesia diventa un genere nel quale il testo in versi si distacca definitivamente dalla musica. Non va dimenticato poi che l’aspetto più rivoluzionario di questa scuola consiste nella creazione e nell’adozione di un codice poetico in lingua volgare. L’attenzione dei poeti della Suola Siciliana si concentra totalmente sull’amore fino, cioè perfetto, essi inoltre cercano di esaltare, tramite similitudini tratte dall’ambito naturalistico e scientifico, lo splendore dell’amata (che appare sempre meno concreta, quasi sublimata e divinizzata, anticipando quanto avverrà in Guinizelli e negli stilnovisti). Sul piano delle strutture metriche con la scuola siciliana si affermano definitivamente nella tradizione letteraria italiana tre forme principali: la canzone di argomento sublime, la canzonetta con temi narrativi e spesso dialogati e il sonetto, quasi sicuramente inventato da Iacopo da Lentini. La lingua poetica usata dai siciliani è di livello alto, curata sotto l’aspetto lessicale e ricca di artifici retorici: alla base troviamo il volgare siciliano, privato di ogni residuo dialettale e fortemente influenzato dal periodare latino.

LA LIRICA SICULO-TOSCANA La cultura poetica siciliana non sopravvive alla fine del dominio svevo nell’Italia meridionale in seguito alla battaglia di Benevento. Fortunatamente, la ricca esperienza poetica elaborata alla corte di Federico non scompare ma si trasferisce al nord nell’area emiliana e toscana. A differenza dei siciliani, i poeti di questa nuova fase della lirica non possono essere identificati con il termini unitario di “scuola” per la grande diversità che li caratterizza sia sul piano della poetica sia su quello del linguaggio. Questi poeti si ispirano e al modello siciliano e a quello provenzale apportando importanti novità sul piano tematico e formale. Per quanto riguarda le scelte contenutistiche accanto al tema amoroso, ricompaiono i riferimenti cronachistici, la tematica morale e soprattutto quella politica. Innovativa è l’adozione di un volgare toscano alto. In Italia viene introdotta per la prima volta dai rimatori toscani la ballata, sconosciuta ai siciliani.

LO STILNOVO La nuova corrente poetica si sviluppa nel fertile crocevia culturale che lega le città di Bologna e Firenze. Precursore dello stilnovo è il bolognese Guido Guinizelli. In seguito lo stilnovo si sviluppò in toscana e in particolare a Firenze. È stato Gianfranco Contini ad attribuire per primo allo stilnovo il carattere di “scuola poetica”, individuandone i presupposti teorici nella congruenza di obiettivi, nell’adesione a una poetica comune e nella condivisione di un linguaggio lirico nuovo per forma e temi. Nello stilnovo abbiamo una rielaborazione e una selezione dei temi della tradizione precedente: alcuni di questi (come la devozione dell’uomo all’amata) sopravvivono; altri (come le immagini tratte dai bestiari o dal mondo marinaresco) scompaiono; altri ancora (come l’immagine della donna angelo) assumo maggiore pregnanza di significato nella concezione più spirituale e approfondita della passione amorosa, elaborata dagli stilnovisti. Il motivo della gentilezza e della nobiltà dell’animo appare intimamente unito a quello dell’amore, di conseguenza se ne deduce che tale nobiltà non è legata alla stirpe ma solo alle qualità personali. Questo concetto era già stato espresso da alcuni trovatori provenzali, nei quali, però, ci si riferiva solo al contesto sociale della corte; al contrario con lo stilnovo ci ritroviamo in ambito cittadino. Gli stilnovisti rifiutano nei propri componimenti qualsiasi altro tema che non sia quello amoroso. Protagonista assoluta della poesia stilnovista è la figura femminile, che diventa tramite fra l’uomo e la sfera divina. La donna esercita una funzione salvifica non solo sull’amante, ma anche su tutti coloro che le si avvicinano. Nello stilnovo la donna rivolge il saluto e lo sguardo, ma non colloquia più con l’amante ed, inoltre, è lodata non più per le sue virtù estetiche e mondane, ma per quelle spirituali. A livello stilistico e linguistico, nello stilnovo, troviamo una sintassi piana e lineare, la scelta di una lingua cittadina ma colta e raffinata, la rinuncia a forme plebee, un limitato uso di artifici retorici. L’ideale della dolcezza e della raffinatezza porta gli stilnovisti, sul piano delle scelte metriche, a privilegiare la canzone e il sonetto e a praticare al ballata. La dottrina aristotelico-tomista e gli studi scientifici di matrice universitaria influenzano molto la poetica stilnovista. Queste due componenti sono particolarmente evidenti nella produzione di Guido Cavalcanti. Le sue liriche sono contraddistinte da una costante volontà conoscitiva nei confronti della passione amorosa: questa, però, secondo il pensiero aristotelico-averroista, interessa la parte irrazionale dell’anima di un individuo. Cavalcanti ha una visione pessimistica dell’amore; in lui le passioni, le parti del corpo o degli atti coinvolti nell’innamoramento prendono forma di personaggi teatrali. È soprattutto nelle liriche dai toni più angosciati che Cavalcanti si rivela il maestro del “dolce stilnovo”, ciononostante va detto che la sua poesia amorosa conosce anche momenti caratterizzati da toni più pacati e sereni.

Saggio sulla donna angelica nello stilnovo e nella vita nuova?

1_ Premessa
2_ La donna angelica per Guinizzelli e per Dante
3_ Analogie e differenze; conclusione.


Lo stilnovo,movimento poetico del tredicesimo secolo, afferma un nuovo concetto di amore, e quindi un nuovo concetto di donna, concepita adesso come donna angelo, donna angelicata:la donna, nella visione stilnovistica, ha la straordinaria virtù di nobilitare l'animo dell'uomo e di operare da tramite fra questo e Dio, che inizia attraverso lo scambio d'un'occhiata fugace.

Nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, Guido Guinizelli immagina di doversi giustificare di fronte al Sommo Fattore che lo interroga sul motivo per cui la donna indirizzò ad un essere umano le lodi e l'amore che a Lui solo convengono; a tali domande egli risponde con le seguenti parole: "Tenne d'angel sembianza / che fosse del tuo regno; / non me fu fallo, s'in lei posi amanza" (vv. 57-60). Questi ultimi tre versi esprimono il seguente concetto: "aveva l'aspetto (semblanza) di un angelo che appartenesse al tuo regno, non feci peccato (non me fu fallo) se posi in lei il mio amore (amanza)". La figura della donna viene concepita in maniera diversa poiché viene considerata un essere ultraterreno intermediario tra Dio e l'uomo.La donna quindi assomiglia ad un angelo. Non è più la signora, severa, distante ed a volte crudele, simile ad un signore feudale al quale obbedire ciecamente. La donna è un angelo, cioè un messaggero di Dio. Amare ed obbedire a lei è come amare ed obbedire a Dio stesso. Lei parla di Lui al cuore dell'uomo, lo eleva verso il cielo, di cui lei è specchio trasparente. La donna quindi è il frutto più bello del creato, perché è quello che più assomiglia al cielo. La sua funzione di nobilitare ed elevare è fonte di bene per l'uomo.

Per Dante il discorso è ancora più articolato perchè il concetto di donna si intreccia con quello di poesia:Dante considera la poesia CLARITAS, cioè lo splendore della verità, che si incarna in Beatrice, attraverso un lento e progressivo cammino.La donna gentile =la filosofia che ti riporta a Dio perché ti fa desiderare di conoscere e capire di più.



BEATRICE E':

LA BELLEZZA DELLA VERITÀ



L'AMORE PER LA VERITÀ



L'AMOROSO USO DELLA SAPIENZA (per filosofare è necessario amare).Beatrice è il simbolo dell'unione dell'anima con Dio che è il primo amore dell'uomo.

Il dolce stil novo


Negli ultimi decenni del secolo, a Firenze, che è all'avanguardia nello sviluppo delle nuove forme di vita economica, sociale e politica, e si avvia a divenire il centro guida della cultura italiana, si forma il nucleo più importante di un'altra tendenza poetica, il "dolce stil novo", con cui la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase culminante in Italia.
I poeti che ne sono esponenti, i fiorentini Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, a cui si aggiunge il pistoiese Cino de' Sigibuldi, si staccano nettamente dagli orientamenti dei rimatori toscani della generazione di Guittone e dalla precedente tradizione siciliana e provenzale.
Si tratta di poeti dalla forte e spiccata personalità, per cui è difficile fissare i tratti distintivi di una vera e propria scuola. Si possono però individuare alcune tendenze comuni. Innanzitutto ciò che li distingue con più evidenza, sul piano formale, è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici cari a Guittone e ai suoi seguaci e la scelta di uno stile più limpido e piano che viene appunto definito col termine tecnico "dolce".
Volendo trovare un ascendente, se Guittone riprendeva la maniera del trobar clus provenzale, costoro si possono accostare alla maniera del trobar leu (cfr. Quadro di riferimento I, § 7).
Sul piano dei contenuti, all' omaggio feudale rivolto alla dama, che era tipico dell' amor cortese, si sostituisce una visione più spiritualizzata della donna, che viene esaltata come angelo in terra e dispensatrice di salvezza (anche se per questi temi la novità non è assoluta, in quanto spunti affini si potevano già rinvenire sporadicamente nella tradizione precedente).
Più sensibile è invece lo stacco dalla tradizione in due altri aspetti: l'attenzione concentrata con più rigore sull'interiorità dell'amante, con l'esclusione di ogni riferimento a situazioni esterne, e il fervore intelletiualistico, che si rifà ad un bagaglio filosofico e scientifico di provenienza universitaria. Inoltre si coglie l'aspirazione a sostituire la corte reale, che era lo sfondo della poesia provenzale e siciliana, con una corte tutta ideale, composta da una cerchia ristretta di spiriti eletti, dotati di alta cultura e disdegnosi del volgo "villano", e per questo uniti fra loro da un vincolo geloso ed esclusivo.
Questa sostituzione di una corte ideale a quella reale risponde al nuovo ambiente sociale cittadino in cui si sviluppa questa poesia, che esclude ovviamente la presenza della corte. Lo "stil novo" si rivela l' espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali che aspirano a presentarsi come una nuova aristocrazia, fondata non più sulla nobiltà di sangue ma sull'altezza d'ingegno" (la formula è di Dante, Inferno, X, v. 59) e sulla raffinatezza del sentire, per distinguersi dagli inferiori ceti borghesi. Uno dei temi centrali è appunto l'identificazione di ."amore" e "gentilezza" (che ha il senso di "nobiltà"): proprio il saper amare "finamente" (che vuol poi dire saper scrivere poesia d'amore, cioè essere di raffinata cultura) è indizio di una superiore nobiltà d'animo.
E la "gentilezza" è un dato di natura, legato alle qualità personali, non alla nascita e al titolo ereditario. Questi motivi erano già presenti nella tradizione cortese precedente, ma il contesto in cui vengono ripresi ne modifica profondamente il senso.
Nella lirica trobadorica la rivendicazione della nobiltà dello spirito di contro a quella del sangue rispondeva alla visione di un'aristocrazia inferiore, di recente acquisizione, che voleva entrare a far parte a pieno diritto dell' aristocrazia feudale. Negli stilnovisti si tratta invece della rivendicazione dei ceti emergenti nel contesto urbano, che si contrappongono alla vecchia aristocrazia e vogliono collocarsi al suo posto nella posizione egemone all'interno della società.
La formula "dolce stil novo" usata comunemente per designare il gruppo, è stata coniata da Dante. Nel canto XXIV del Purgatorio, al rimatore guittoniano Bonagiunta da Lucca, che gli chiede se egli sia colui che "fòre / trasse le nove rime" con la canzone Donne ch 'avete intelletto d'amore, Dante risponde: "I' mi son un, che quando / Amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch' è ditta dentro vo significando"; al che Bonagiunta proclama di scorgere "il nodo" che trattenne il Notaio (Iacopo da Lentini), Guittone e lui stesso "di qua da quel dolce stil novo ch' i' odo" (vv. 55-57).
Si può cogliere qui il forte distacco polemico nei confronti della precedente poesia cortese italiana, individuata in due delle sue manifestazioni più significative, la maniera siciliana e quella guittoniana. La discriminante tra la poesia vecchia e quella nuova è indicata da Dante in una più stretta aderenza dei poeti a ciò che Amore "ditta dentro". Tuttavia, come è stato fatto notare, qui viene espressa più propriamente la definizione della poesia di Dante stesso: Dante, cioè, parla di "dolce stil novo" a proposito della
propria canzone Donne ch 'avete intelletto d'amore, e pertanto appare incauto estendere la formula con troppa facilità a tutto il gruppo. Sarebbe forse più appropriato, per definire l'intera tendenza, ricorrere ad un'altra formula, usata da Dante proprio per designare tutta una maniera, quella ri me "dolci e leggiadre" (Purgatorio, XXVI, v. 99), dove i due aggettivi non hanno un valore generico, ma tecnico, e indicano le specifiche particolarità dello stile di questa maniera, che sono quelle che più vistosamente la distinguono dalla tradizione precedente (e che individuermo meglio attraverso la lettura dei testi). Comunque la formula "dolce stil novo" è ormai consacrata dall'uso per indicare l'intera scuola, e quindi non possiamo evitare di farvi ricorso. Precursore del gruppo è da considerare il bolognese Guido Guinizzelli (1230 ca -1276), probabilmente giudice di professione, appartenente alla generazione precedente a quella di Dante e Cavalcanti.
Dante stesso lo definisce suo maestro, e nel canto XXVI del Purgatorio lo chiama "padre / mio e delli altri miei miglior che mai / rime d'amore usar dolci e leggiadre" (vv. 97-99). A lui appar tiene il manifesto della nuova tendenza, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore (cfr. Tl7). Sin dal primo verso essa propone l'identificazione tra amore e "gentilezza" che sarà poi un caposaldo della concezione stilnovistica; nella chiusa, poi, offre un altro motivo centrale, l'equiparazione della donna ad un angelo proveniente dal regno di Dio, per cui non è peccato attribuirle lodi che converrebbero a Dio stesso e alla Vergine.
Un' altra caratteristica che spicca nella canzone, e che sarà poi tipica dello stilnovismo, è il gusto per il sottile ragionamento filosofico, nutrito della cultura della Scolastica: non per nulla Guinizzelli è di Bologna, la città che è la sede di una delle più prestigiose università europee.
La canzone costituisce infine un esempio perfetto di stile "dolce e leggiadro", cioè di uno stile limpido e piano in contrapposizione alla contorta e artificiosa oscurità guittoniana. Nel Canzoniere guinizzelliano vi sono testi ancora legati al gusto di Guittone, ma la maggior parte dei componimenti è impostata sulla nuova tonalità stilistica, ed offre un campionario dei più tipici temi stilnovistici: la lode dell'eccellenza della donna, paragonata alle bellezze più elette della natura, il valore miracoloso del suo saluto che dona salvezza, gli effetti della passione d'amore sull'amante, che si consuma e strugge. Sono tutti motivi che saranno poi ripresi da Cavalcanti, da Dante e dagli altri poeti.
Oltre a Dante, Guido Cavalcanti (1259-1300) è la personalità più rilevante del gruppo. Fiorentino e di famiglia ricca e nobile, viene descritto da varie fonti del tempo come carattere eletto e sdegnoso, profondamente immerso nella meditazione filosofica, ma anche impegnato nelle lotte politiche del Comune, tanto da essere mandato in esilio nell'estate del 1300 con altri capiparte. L'elevata cultura filosofica è confermata dalla sua canzone "manifesto", Donna me prega.
In un linguaggio estremamente arduo e oscuro vi si espone una concezione dell'amore come passione sensuale, che "luce rade", che esclude ogni controllo razionale. È una concezione che sembra riferirsi ai presupposti dell'aristotelismo radicale, o averroismo, che era diffuso negli ambienti universitari bolognesi, e per cui Cavalcanti provava interesse. Da questa concezione deriva nella poesia, a quanto ci è dato di desumere, una rappresentazione cupa e pessimistica dell'amore come forza oscura e devastante, che si impossessa dell'anima provocando paura e dolore. Perciò ricorrono costantemente nel canzoniere cavalcantiano temi come l'angoscia, il tremore, lo sbigottimento, le lacrime e i sospiri, che conducono l'anima e il corpo alla distruzione.
Caratteristica della poesia cavalcantiana è l'assoluta interiorizzazione di questa esperienza. Tutte le situazioni esteriori della vicenda amorosa, che si potevano trovare, sia pure in forme stilizzate, nella precedente poesia cortese vengono escluse. Nella poesia di Cavalcanti è rappresento un mondo del tutto astratto e irreale, senza spazio e senza tempo, senza colori e senza oggetti, che è l'interiorità stessa dell'anima del poeta. Su questo scenario si proiettano, oggettivati in personificazioni, i suoi moti interiori, che: divengono come gli immateriali attori di un dramma: gli "spiriti", cioè le varie facoltà dell'animo personificate, l'immagine della donna amata, che è pura creazione soggettiva e non ha nulla a che fare con la persona reale, il dio d'Amore, l'anima tremante, la persona stessa del poeta, pallida e distrutta, la "voce sbigottita e deboletta" che esce piangendo "de lo cor dolente" (cfr. T22).
Amico di Dante fu il giurista Cino de' Sigibuldi da Pistoia (1270 ca-1336 01337). Cino presenta già la fisionomia dell'epigono: si ripetono in lui, ridotti a schemi, tutti i motivi dello stilnovismo. E tuttavia nella sua opera si trova un gusto nuovo di indagare l'esperienza psicologica, colta nella sua concretezza immediata, lontana dai rarefatti scenari guinizzelliani o cavalcantiani. Questo passaggio dal piano metafisico a quello psicologico prepara il terreno alla poesia petrarchesca. Anche Dante, nella sua giovinezza, fa parte del gruppo, e scrive liriche in cui riprende temi e forme di Guinizzelli e Cavalcanti.
Ma ben presto da queste tendenze si stacca, per seguire altre direzioni. Segno del distacco è già l'operetta in cui raccoglie parte di queste liriche, corredandole con un commento in prosa, la Vita nuova. Qui la successione studiata delle liriche e il commento che le accompagna trasformano la vicenda amorosa in una complessa vicenda mistica e simbolica, un viaggio a Dio con la donna amata per guida, che prelude da vicino al disegno della Commedia.
La contraddizione tra amore e religione che attraversava tuttas la tradizione della poesia cortese (cfr. Quadro di riferimento I, § 4), è risolta da Dante a favore della religione, con il rifiuto di ogni ambigua contaminazione. Nella Commedia la trasfigurazione teologale dell'amore, per cui la donna, Beatrice, diviene allegoria della Teologia, si accompagna alla condanna senza remissione dell'amor cortese e stilnovistico, visto come sentimento peccaminoso e pieno di insidie.
Nell'episodio di Paolo e Francesca (Inferno, V) Dante denuncia con la profonda partecipazione di chi ha attraversato analoghe esperienze i pericoli insiti nell'amor cortese, che dietro le sue apparenze sublimate cela una passione sensuale che può condurre alla perdizione. Paolo e Francesca infatti sono indotti a rivelarsi il loro amore e a perdersi proprio leggendo dell'amor cortese di Lancillotto e Ginevra, che determina in essi un processo di immedesimazione; e sulle labbra della lussuriosa Francesca dannata in eterno risuonano le formule più tipiche dello stilnovismo, "Amor ch'al cor gentil ratto s'apprende", "Amor ch'a nullo amato amar perdona", "Amor condusse noi ad una morte". Non solo, ma Guido Guinizzelli, pur ammirato da Dante per la sua grandezza letteraria, è collocato nel Purga torio tra i peccatori di lussuria: che è una scelta ricca di significato.
Alla tradizione cortese e stilnovistica si collega sostanzialmente anche la poesia amorosa di Petrarca. Ma ormai ci troviamo in tutt'altro clima di cultura: la poesia diviene scavo nell'interiorità di un'anima tormentata e contraddittoria, e d'altro canto lo stile tende a comporsi in forme limpide ed equilibrate, che risentono del modello dei classici latini.
La lirica amorosa di Petrarca dà inizio ad una nuova tradizione: già nel Trecento nascono i primi imitatori della sua maniera, che si infoltiranno nel Quattrocento e nel Cinquecento, dando origine ad un vero e proprio genere: è il filone del petrarchismo, che rimarrà in vita sino al Settecento. In volgare Petrarca scrive solo le Rime sparse e il poema allegorico già ricordato, i Trionfi: ma, usando il latino, egli fa rivivere i generi classici, come il poema epico sul modello virgiliano e l'epistola ciceroniana (come vedremo nel capitolo a lui dedicato).

La differenza tra l'amore stilnovistico e quello di petrarca


Il tema dell'amore in Petrarca Centro ispiratore della lirica petrarchesca è l'amore per Laura, un' amore che, pur restando saldo e costante, si modifica negli anni seguenti seguendo il progressivo maturare dell'animo del poeta. Certamente Petrarca ha ereditato un patrimonio, di temi, situazioni, immagini, tecniche espressive da tutta la tradizione stilnovista ma vi ha introdotto innumerevoli elementi di novità e di originalità che riguardano sia la rappresentazione della donna sia lo stato d'animo del poeta innamorato. Nella lirica petrarchesca torna il motivo della lode dell'amata, tipico del Dolce Stil Novo, che però ora è rivolto alla bellezza fisica più che alle doti morali. All' immagine della donna-angelo anch'essa di origine stilnovista, si è sostituita quella di una creatura bella e desiderabile per la quale il poeta prova un amore tutto terreno anche se inappagato. La staticità della donna stilnovista fissata per sempre in una eterna giovinezza viene capovolta nella mutevolezza e vitalità della Laura petrarchesca collocata sullo sfondo di paesaggi naturali nei quali ricorrono due elementi mobili per eccellenza il vento (aura) e l'acqua. Inoltre Laura è rappresentata nella diverse stagioni della sua vita: alla creatura splendente di giovinezza si affianca l' immagine di una donna spenta ma pur sempre amata dal poeta. Quanto alla concezione dell'amore è ormai venuto meno in Petrarca l' idea stilnovista dell'amore- virtù, strumento di perfezionamento interiore e di avvicinamento a Dio. IL sentimento amoroso è tutto terreno e porta con sé il pentimento, il senso del peccato, il conflitto tra Bene e Male. Questi temi vengono espressi in uno stile armonico in cui il lessico e immagini si richiamano da un componimento all'altro. Caratteristiche fondamentali del linguaggio petrarchesco: La voluta limitatezza del lessico che evita i termini troppo realistici o violentemente espressivi, i vocaboli rari e quelli dialettali; Semplicità delle strutture sintattiche nelle quali la coordinazione prevale sulla subordinazione e ricorrono frequentemente coppie e antitesi. Questo tipo di lingua, proprio per la sua medietà, uniformità e armonia, ha fatto scuola, imponendosi come modello in situazioni culturali diverse e lontane nel tempo. La rappresentazione di Laura risulta più viva e terrena rispetto alle descrizioni nel Dolce Stil Novo dove i ritratti femminili rimangono inalterati. Livello sintattico e lessicale Dal punto di vista sintattico troviamo nel sonetto l'intreccio di tempi verbali che oscillano tra passato e presenta, sottolineando il trascorrere del tempo e i mutamenti che esso porta con sé. I tempi verbali adoperati sono 3: una serie di IMPERFETTI descrittivi collocati all'inizio dei versi ,che hanno la funzione di proiettare nel passato e quindi nel ricordo la bellezza di Laura e che danno l'idea della continuità (erano, avolgea, ardea, avea, era, sonavan…); tre verbi al passato remoto che isolano all'interno della continuità del passato un evento unico e irripetibile: il primo incontro del poeta con la donna amata (arsi, fu, vidi…); due presenti (son, sana). Il primo verbo è rafforzato da “or”. Il valore della due forma verbali non è comunque uguale. La prima forma verbale viene utilizzata per mettere a fuoco lo scarto temporale piuttosto netta tra passato e presente e per sottolineare la fugacità della bellezza. ? un presente atemporale con un carattere sentenzioso che intende esprimere la perennità dell'Amore del poeta.

DANTE E BEATRICE

DANTE E BEATRICE

TEMA SVOLTO SULLA FUGURA DI BEATRICE

DANTE ALIGHIERI



Nella “Vita Nova” Dante raffigura Beatrice nella sua umanità, mettendo in luce quella fisicità della donna, che nello stilnovismo era diventata effimera..

La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.

A differenza del “Dolce Stilnovo”, Dante raffigura l’astratto con forme e figure concrete e non con personificazioni ed allegorie.

L’immagine di Beatrice, con la sua bellezza pura ed il suo animo colmo di beatitudine, ha la funzione di portare alla luce l’interiorità del poeta e di avviare quel rinnovamento che culminerà poi nella “Divina Commedia”.

L’incontro con Beatrice rappresenta un’esperienza di tipo mistico, affine a quelle elaborate dai teologi medioevali precedenti Dante.

Anche Dante, mediante l’amore per Beatrice, compie un itinerario ascendente che porta la sua anima alla contemplazione del cielo.

L’incontro con Beatrice è predestinato dall’alto. L’apparizione della donna porta beatitudine non solo a Dante, ma anche a tutti quelli come lui.

Nove anni dopo, Ella riappare vestita di bianco ed in questa occasione lo saluta. Il saluto di Beatrice è un’esperienza di estasi e di rapimento.

Il saluto rappresenta da un lato accoglienza ed omaggio, e dall’altro il saluto dell’anima, cioè la salvezza.

Di questo evento provvidenziale si possono notare tre momenti diversi: la donna che appare produce un effetto di carità; prima del saluto c’è uno squilibrio dei sensi; il senso provoca la beatitudine statica.

La negazione del saluto provoca di conseguenza il dolore, perché esclude la pienezza spirituale, cioè la beatitudine.

LAURA

LAURA
FRANCESCO PETRARCA

TEMA SVOLTO SULLA FIGURA DI LAURA

FRANCESCO PETRARCA



A differenza di Beatrice, che ha precisi legami con il simbolo e con la scolastica, Laura, la donna cantata da Petrarca, appare nella sua personalità di donna.

Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.

La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.

Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.

La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.

Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.

La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità.

FIAMMETTA

FIAMMETTA
LA MUSA CHE ISPIRO' IL BOCCACCIO

TEMA SVOLTO SULLA FIGURA DELLA DONNA IN BOCCACCIO

LA DONNA IN BOCCACCIO

Nelle novelle del Decameron si ritrovano elementi della concezione cortese dell’amore: il culto della donna da parte di Federico degli Alberighi, Nastagio degli onesti che si strugge per un oggetto irraggiungibile.

Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.

Le nuove schiave: faccia a faccia con la prostituzione in Puglia

lunedì 30 aprile 2007
Le nuove schiave: faccia a faccia con la prostituzione in Puglia
La schiavitù è stata abolita? Niente affatto! Esiste e si perpetua ogni giorno proprio sotto il nostro naso, non nei paesi del Terzo Mondo, ma nel ricco e civile Occidente. La moderna tratta umana si chiama “prostituzione” e a riportare alla ribalta l’argomento è stato il dibattito sull’abolizione della legge Merlin ( la legge del ‘58 che ha abrogato le case chiuse). Da allora il fenomeno non si è per nulla ridimensionato, anzi,è diventato un eccezionale business su cui hanno messo le mani i boss emergenti della nuova mafia dell’est. A renderlo così appetibile le pene relativamente contenute inflitte agli sfruttatori e gli alti guadagni ( una prostituta rende al suo sfruttatore ogni mese dai 5000 ai 7000 euro).

La Puglia, secondo le Forze dell’Ordine, soprattutto in seguito allo smantellamento del contrabbando, è diventata il punto di snodo principale a livello internazionale del traffico di ragazze destinate al marciapiede. Proprio per la sua posizione geografica, è il luogo dove arrivano le clandestine, vengono esposte nude come delle bestie al mercato e vendute in vere e proprie aste. Poi sono seviziate finché non si piegano ai loro aguzzini e intraprendono la “professione”, a questo punto vengono esportate in una grande città del nord. In questo quadro agghiacciante la malavita pugliese, e soprattutto quella salentina, ha un ruolo importante nel definire gli aspetti logistici del traffico. A riprova di ciò alcuni recenti fatti di cronaca.

Nel settembre del 2002, nell’operazione “Vie libere”, condotta dalle Questure di Bari, Brindisi e Lecce, vi furono centinaia di arresti in 12 regioni italiane; in provincia di Bari furono state arrestate 29 persone e 77 denunciate, mentre 27 extracomunitari - gran parte dei quali donne - coinvolti in fenomeni di prostituzione, furono accompagnati in Questura per l’identificazione e espulsione; le donne extracomunitarie fermate erano in maggioranza sudamericane (colombiane, ecuadoregne e brasiliane) e per il resto nigeriane.

Nell’agosto dello stesso anno commosse l’Italia la storia di una quindicenne rumena, letteramlemte ridotta in schiavitù e tenuta segregata ad Otranto. Era partita dalla Romania con la promessa di trovare un lavoro da baby sitter in Italia: ma come per tante ragazze prima di lei, l’arrivo sulla costa pugliese significò l’inizio di una vita di segregazione, violenze e prostituzione.

Ma qual è la reale entità del fenomeno? Secondo un’indagine condotta dalla Commissione Affari Sociali della Camera, le prostitute sarebbero un esercito compreso fra 50 e 70mila. Fra loro circa 25mila le immigrate e 2mila le minorenni. Il 65% lavora in strada, il 29,1% in albergo, il resto riceve in casa. Non sono però tutte donne: lo 0,8% sono travestiti ed il 5% transessuali, questi ultimi molto richiesti per delle performance di sesso estremo; mentre nell’80% dei casi il sesso a pagamento, di qualunque specie sia, non è protetto da preservativo. Il tutto per un giro d’affari che, secondo l’Eurispess, è di circa 3mila miliardi l’anno di vecchie lire.

I clienti chi sono? I clienti sono tra i nove e i dieci milioni, di cui circa 5-600 mila donne.
Gli uomini che scelgono il sesso a pagamento sono per lo piu' impiegati, professionisti, commercianti ma non mancano gli studenti; il 4% dei clienti non e' neanche maggiorenne, mentre piu' del 21% ha tra i 19 e i 25 anni, il 70% e' sposato.
Quanto alla distribuzione geografica poco piu' del 50% delle prostitute immigrate lavora al Nord, poco meno del 40% al Centro e una piccola minoranza al Sud e nelle Isole. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazze fatte venire in Italia con la promessa di una vita migliore. In particolare al 42,9% di esse era stato promesso un lavoro, nel 29,5% si tratta di clandestine, il 16,1% e' stato vittima di rapimento nel proprio paese, il 3,8% e' stato sequestrato in Italia ed infine, e' presente un 7,8% di donne sfruttate dai fidanzati.
Le straniere provengono principalmente dall'Europa dell'Est (48%), dall'Africa (22%) e dal Sud America (10%).

E sono proprio le straniere fare la vita peggiore. I problemi che le lucciole straniere devono affrontare sono molti, primo fra tutti, sembra incredibile, poter continuare a prostituirsi! La maggior parte di loro, per la legge italiana, praticamente non esiste perché priva del permesso di soggiorno. Se scoperte come clandestine, vengono rispedite in patria e qui trovano quelle condizioni di vita impossibili che le avevano convinte ad emigrare. C’è poi l’accoglienza della loro famiglia, non sempre tanto calda. Una ragazza che si prostituisce in Italia, infatti, assicura con le sue rimesse, la sopravvivenza ad una famiglia di 5-6 persone in un Paese del Terzo Mondo. Ma non è tutto, può capitare che siano gli stessi padri ad aver venduto una figlia ad uno sfruttatore per ottenere in cambio una cifra che si aggira sui 2500-3500 euro, dunque lo stesso padre non accetta di riprendere in casa quella figlia.

Le prostitute di colore devono fare i conti con la concorrenza. I clienti italiani preferiscono le donne bianche, la cui prestazione è pagata circa 25 euro, mentre le nere devono accontentarsi di 20. Il nemico più pericoloso è l’hiv. Si stima che in Italia la più consistente via di trasmissione sia la prostituzione appunto. Mentre secondo don Oreste Benzi dovrebbero essere i clienti a risarcire le ragazze quandole contagiano, una volta diventate sieropositive hanno difficoltà ad accedere alle cure, oltre che timore di recarsi in ospedale. Le clandestine vengono rispedite in patria ed in Nigeria, ad esempio, chi ha contratto l’Aisds viene internato nei “cronicari”, una vie di mezzo fra un carcere ed un sanatorio, dove è costretto a rimanere finché non muore. Le nigeriane sono poi intimidite dai riti voodo che le protettrici fanno ai loro danni. Per evitare il malocchio e proteggere da quest’ultimo la propria famiglia, le ragazze si sentono obbligate a vendersi. Se non c’è un motivo religioso ce n’è uno economico: le nigeriane arrivano in Italia come clandestine ed il “biglietto” d’accesso all’Europa costa circa 60-70 milioni di lire: per estinguere il loro debito con i trafficanti di clandestini devono prostituirsi.

Anche avere un pezzo di marciapiede a disposizione è un problema. I luoghi dove si “batte” sono rigorosamente parcellizzati dalla malavita locale che li affitta ad ogni prostituta a circa 1000 euro al mese. Il motivo che più spesso è alla base delle risse fra le lucciole è proprio l’occupazione “abusiva” di un marciapiede.

Un capitolo a parte è quello della prostituzione minorile. Un fenomeno meno visibile ma assai più preoccupante. In Italia le minorenni ed i minorenni, non possono prostituirsi, e le pene per chi sfrutta sessualmente i bambini sono abbastanza severe. Minori che si prostituiscono per strada non se ne vedono, si prendono strade diverse: il turismo sessuale e lo sfruttamento in casa.

Secondo l'Eurispes, il fenomeno della prostituzione minorile ha avuto, nel corso di pochi anni, un incremento del 200%, raggiungendo, in termini di ''fatturato'' i cinque miliardi di dollari l'anno.
I paesi maggiormente coinvolti sono il Brasile dove si stimano 500mila minori prostituti, il Peru' (500mila), l'India (300/500 mila), la Cina (200/500 mila) e la Tailandia (200/300 mila).

"Il fenomeno del turismo sessuale in danno di minori - spiega Patrizia Miazzo, responsabile dell'ufficio stampa di Terres des Hommes Italia - gode della più assoluta impunità. Un italiano all'estero che commette un reato di violenza o di sfruttamento sessuale di un minore non rischia niente e non è di fatto perseguibile penalmente. In questi Paesi in Via di Sviluppo (PVS), dove la corruzione è endemica e dove le leggi vigenti siano in taluni casi severissime, le autorità locali lasciano correre e al massimo, se si viene scoperti, si finisce in camera di sicurezza per qualche giorno e poi si viene rilasciati senza nessuna conseguenza."

>.

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Sembra lo stesso il racconto di L., anche lei straniera, anche lei tradita da un uomo, anche lei liberata dalle Forze dell’Ordine che la arrestano; la sua storia è stata raccolta da due detenute sue compagne. <<>>

Ed è proprio la “liberazione” di queste nuove schiave ciò che appare un obiettivo imprescindibile per tutta la società civile. Della prostituzione, quasi poetica, cantata in alcune canzoni o raccontata nei romanzi, oggi, non vi è traccia. Come mostrano i dati e, come confermano le storie, vendere il proprio corpo non è quasi mai una scelta, e dietro a questo fenomeno c’è una realtà tristissima di sfruttamento e di violenze, ma anche un colossale business per criminali senza scrupoli, ed anche tanta umanità. Forse dovrebbero tenerlo a mente i dieci milioni di italiani che, essendo “clienti”, alimentano questo traffico. Forse potremmo tenerlo a mente tutti noi.

Pubblicato da Francesca D'Abramo a 10.32
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giovedì 11 marzo 2010

http://www.provincia.grosseto.it/pariopportunita/news.php?id=4940

Parole di Donne
03/12/2009 13:08

Sommario:
1)Gli omissis del rito di Ida Dominijanni
2)La pillola scomunicata di Mariuccia Ciotta
3)Burkini e delitto d'onore di Ines Valanzuolo
4)Escort sauvage dalla redazione del Paese delle donne
5) Recensione: "Risveglio a Parigi" di Margherita Oggero

1)
COMMENTO | di Ida Dominijanni Il Manifesto 26 novembre 2009
VIOLENZA
Gli omissis del rito
Sovrapporre al viso di Michelle Obama quello di una scimmia e mandare quest'opera d'arte in rete (Google immagini) è violenza contro una donna. Definire Veronica Lario velina ingrata è violenza contro una donna. Sfottere Rosi Bindi in tv dicendole che è più bella che intelligente è violenza contro una donna. Difendere Berlusconi sostenendo che è solo l'utilizzatore finale delle escort reclutate da Tarantini è violenza contro le donne. Piccolo memorandum contro la riduzione della giornata internazionale sulla violenza contro le donne a geremiade rituale e ipocrita, del governo e dell'opposizione.
La geremiade contempla ogni anno dati sconfortanti, provenienti dal nord come dal sud, dall'ovest come dall'est del mondo: per dirla con il presidente della Repubblica, matrimoni forzati, mutilazioni genitali, stupri di guerra in contesti lontani che non devono oscurare l'ordinario scempio che permane nei contesti vicini (solo in Europa, fra i 16 e i 44 anni ne uccide più la violenza che il cancro o gli incidenti stradali). Contempla ormai anche, ed è un risultato delle battaglie femminili, la denuncia del fatto che la maggior parte delle botte e degli stupri arrivano in casa da mariti, fidanzati ed ex fidanzati, e non in strada da estranei o stranieri. Quest'anno si arricchisce però di due significative novità. La prima, di governo, è l'autoglorificazione di Mara Carfagna per aver introdotto il reato di stalking, aumentato le pene per i partner violenti, istituito la difesa gratuita per le vittime: «fatto, fatto, fatto», noto spot berlusconiano. La seconda, di governo e d'opposizione, è l'accusa alla cultura «consumistica e mercificatrice» dei media, che fa strame del corpo femminile in tv e autorizza i maschi a farne strame nella vita. Giusto? Giusto. Nient'altro? Nient'altro.
Prendersela con la responsabilità impersonale della tv va sempre bene, e va meglio se serve a glissare su fatti e nomi specifici. La gamma della violenza contro le donne è vasta e multiforme. C'è lo stupro, c'è lo stalking, ci sono le botte. Ma c'è anche il linguaggio, il linciaggio, la calunnia. La seconda categoria spesso non è meno annichilente della prima, e non è meno diseducatrice della tv. Veline usate come esche per drenare voti, ragazze-immagine usate per il divertimento dell'imperatore, mogli accusate di alto tradimento con le guardie del corpo, amanti di una notte minacciate di essere spedite in galera per 18 anni, trans gettate come fenomeni da baraccone nell'arena mediatica; e in ognuno di questi casi, l'uso del linguaggio come arma misogina contundente. L'anno avrebbe meritato una giornata contro la violenza davvero speciale, con qualche verità in più e qualche ipocrisia in meno.. Dei riti, invece, non sappiamo che farcene.



2)

* EDITORIALE | di Mariuccia Ciotta Il Manifesto 27 novembre 2009
LA PILLOLA SCOMUNICATA
Proteggere la donna da se stessa e impedirle di assassinare a cuor leggero l'embrione che è già essere umano al momento del concepimento, secondo madre chiesa. È questo lo spirito (santo) con cui la commissione sanità del senato ha bloccato ieri l'immissione in commercio della pillola Ru486, che materialmente e psicologicamente alleggerisce l'effetto dell'aborto chirurgico. Un uso della forza quello espresso dall'«inquisizione» governativa che andrebbe catalogato tra le innumerevoli varietà di violenza sulle donne denunciate in questi giorni.
L'indagine parlamentare, voluta dal sensibile Gasparri, si è nascosta dietro la necessità di verificare la compatibilità della pillola con la legge 194 e di garantire la salute delle donne dopo che l'Agenzia italiana del farmaco ha dato il via libera e imposto la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale entro il 19 novembre. Ma contro il «freddo» parere scientifico la maggioranza ha fatto appello al ministero della salute, che non è chiamato a verificare l'efficacia e la non pericolosità della Ru486, in uso da anni nei paesi europei, ma a stabilirne i limiti «morali», a trasformarla da farmaco che dà sollievo in alchimia diabolica da «monitorare».
Lo stop è di per sé un atto intimidatorio, al di là delle formule tecniche di applicazione, espediente per fermare la circolazione della pillola e formulare una serie di obblighi confusi e contradditori, come il ricovero ospedaliero, «necessario» secondo il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella, ma non «coatto», ovvio visto che per legge è escluso comunque il «fermo» del paziente contro la sua volontà. «Fondamentale la presenza del medico durante l'intera procedura di aborto» sostiene però Roccella e no al «regime di day hospital» (ostacolando la libera scelta della paziente), come sancirà il governo nell'interpretare la delibera dell'Aifa a sua immagine e somiglianza.
L'intenzione è quella di rendere indisponibile in tutti i modi possibili la pillola, di mettere la donna di fronte a ostacoli e paure, di obbligarla a sottoporsi a un iter drammatico - ispezioni mentali e fisiche - e al no degli obiettori. In tutto questo non c'è solo l'ombra del Vaticano, ma la concezione di un governo che mentre fa sfoggio di dissolutezze private e discute se riaprire bordelli comunali pretende il controllo sulla vita. Decide ciò che è bene e ciò che è male, quando essere cattivo e scatenare i «white christmas» e quando farsi dispensatore di principi etici e medici. Il governo come santone, capo-talebano, arbitro divino.
La donna manipolabile, corpo multiuso, è di nuovo il trofeo da esporre, più si umilia più la partita è vinta. Più si considera incapace di discernere sulla sua stessa salute, di decidere se rivolgersi a un ospedale oppure no, visto che la Ru486 non è una passeggiata, più l'immagine padronale si gonfia di potere. E dire che proprio in queste ore il parlamento spagnolo ha approvato la proposta che consente alle minorenni di interrompere la gravidanza senza avvisare i genitori. Lì minorenni, qui minorate.



Da Il Paese delle Donne on line

3)

venerdì 27 novembre 2009


Burkini e delitto d'onore

di Ines Valanzuolo ?

*Il 18 agosto 2009 in una piscina di Verona una donna mussulmana si tuffa in burkini, cioè con pantalone fino alla caviglia, tunica lunga e cappuccio a coprire testa collo e spalle. Le reazioni sono scontate: curiosità, perplessità, intervento del direttore dell'impianto che chiede alla donna la composizione del tessuto del «burkini» per verificare se può essere usato in una piscina pubblica e, dopo alcuni giorni, ecco* il divieto dell'uso del Bukini* o *la multa di 500 euro* da parte del sindaco di Varallo Sesia, in Piemonte.*

Ad agosto sembra solo un argomento, tra i tanti circa l'immigrazione, da ombrellone. Certo, il burkini potrebbe diventare semplicemente una moda, l'aumento delle vendite a livello mondiale lo testimonierebbe, o anche uno strumento di seduzione efficace in tempi di corpi sovresposti, oltre a restare fonte di polemica politica infruttuosa tra destra e sinistra.

Il disagio però è persistente e inquietante: a Verona questa donna, sospettata anche di essere una provocatrice/attrice, ha recitato un categorico duplice divieto: quello della cultura islamica, non spogliarsi, quello della attuale (penso alle foto di mia nonna in spiaggia!) nostra cultura, non bagnarsi vestita. La sua, se è commedia, è voglia di comunicare e ritorna in mente nella tragedia di settembre, quando un'altra donna di origine islamica, *Sanaa, migrante di seconda generazione,* muore, consapevole di aver proposto, senza possibilità di mediazione, la violazione di un altro divieto: la convivenza con un giovane italiano, senza consenso della famiglia e della sua comunità, senza matrimonio.

Tra il divieto della nudità e il libero amore con un miscredente c'è distanza, almeno nelle conseguenze. Al centro però c'è sempre *un corpo di donna che si impone e dà scandalo, che deve essere controllato, coperto, negato, eliminato*. Intorno non c'è solidarietà, solo conflitto tra ciò che si ha alle spalle e ciò a cui si aspira. Ci sono anche, sempre, donne islamiche complici della loro cancellazione, che accettano in silenzio, o che prendono parola, soprattutto rivendicando una loro originaria identità cultural/ religiosa in paesi di immigrazione e donne occidentali emancipate, libere(!) che le sostengono o consapevoli dei loro burkini segreti o desiderose di non sentirsi razziste.

Questo scandalo mette in moto una scontata, in alcuni casi generosa e sapiente sequela di pareri, riflessioni, inchieste, articoli sulle cause profonde o immediate: la religione islamica e il ruolo attribuito alla donna; la violenza di genere eterna e uguale in qualsiasi luogo contro la donna libera, il razzismo politico/partitico, di destra, di sinistra.

Sappiamo tutto o quasi sulle cause, poco sulle soluzioni, rese urgenti dalle rapide dinamiche della globalizzazione. Aspettiamo risposte dai partiti, dalla politica corrente che non è mai riuscita, se non con lentissimi e totalizzanti movimenti, ad intervenire in modo adeguato nei conflitti di genere, che non ha mai considerato le pratiche e le elaborazioni teoriche delle donne.

*Partire da sé per capire e trovare soluzioni: autocoscienza.* Una pratica del femminismo anni '70 può essere utile a livello individuale e collettivo. Richiede tempi lunghi, quelli delle rivoluzioni profonde e permanenti. Consideriamo *qualche momento importante della storia delle donne nella nostra storia del '900*.

Nel 1966 si celebrò *il processo di Franca Viola*, figlia di una coppia di coltivatori diretti che era stata rapita, violentata e quindi segregata per otto giorni da Filippo Melodia, spasimante mafioso respinto. Secondo la morale del tempo, rapita e stuprata per otto giorni, liberata avrebbe dovuto sposare il rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. Questa morale era sostenuta dalla legislazione italiana che, all'articolo 544 del codice penale, ammetteva il matrimonio riparatore, considerando la violenza sessuale come un oltraggio alla morale e non alla persona.

Franca Viola non accettò il matrimonio riparatore. Filippo Melodia fu condannato a 11 anni di carcere La famiglia Viola, che aveva contravvenuto alle regole di vita locale, fu soggetta ad intimidazioni: il padre venne minacciato di morte, la sua vigna fu rasa al suolo. Il caso sollevò in Italia forti polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari.

Franca Viola divenne, in Italia e in Sicilia, un simbolo di libertà e dignità per tutti ma l'articolo 544 del codice penale fu abrogato, 15 anni dopo, dall'articolo 1 della legge 442, emanata il 5 agosto 1981, che elimina la facoltà di cancellare una violenza sessuale tramite un successivo matrimonio. Franca aveva l'età di Sanaa. Come ha potuto mettere in moto, per prima, questo processo di liberazione personale e di democratizzazione della società italiana tutta?

Non illudiamoci, *non è preistoria e chi scrive, e forse chi legge, ha seguito il processo.* Sapevamo che *sola avrebbe fatto la fine di Sanaa*, o avrebbe accettato l'esecrazione come tante ragazze islamiche che oggi rifiutano burka, burkini, infibulazione ed altro, se non ci fosse stata una lenta e sotterranea corrente culturale che cominciava a collegare alla dignità della donna quella di una intera famiglia e di una nazione tutta.

Alcuni uomini avevano ascoltato, capito, a cominciare dal padre, un semplice coltivatore diretto, per finire con alcuni giudici, una parte della stampa....La legge arrivò più tardi, quando il nuovo finalmente emerse con chiarezza.

Oggi nell'incontro di culture diverse *le relazioni tra immigrati, donne e uomini, quelle di noi italiani con loro, sono improntate ad incapacità di ascolto, a presunzione di risoluzioni rapide, segnate dal rifiuto o dall'accettazione incondizionata o dalla legge a colpi di maggiaranza.* C'è poi la vita quotidiana che stenta a trovare un nuovo equilibrio, mancando: adeguata formazione dei giovani, modelli di riferimento, accettazione del diverso, conoscenza delle regole della convivenza civile, rispetto delle reciproche civili abitudini dell'ospitalità.

/articolo pubblicato su "Critica liberale", volume XVI, n167-169, settembre-novembre 2009/

4)

Da Il Paese delle Donne on line

venerdì 27 novembre 2009


Escort Sauvage

di Redazione ?

*Riprendiamo dal sito globalproject.info la seguente informazione sulla manifestazione che Studentesse e precarie in solidarietà con le sex workers hanno messo in atto oggi, 27 novembre, davanti Palazzo Grazioli.*

*Escort sauvage **
*...Non c'è casa più chiusa di Palazzo Grazioli**

Oggi 100 donne, studentesse, precarie, migranti hanno manifestato di fronte a Palazzo Grazioli contro il ddl Carfagna e il blocco alla commercializzazione della RU486, approvato ieri dalla commissione salute del Senato.

Nonostante l'inutile aggressività della polizia le donne sono riuscite ad aprire uno striscione con su scritto: "NESSUNA CASA E' PIU CHIUSA DI PALAZZO GRAZIOLI. NO ALLA LEGGE CARFAGNA".

*Rossetti rossi e ombrelli rossi,* simbolo internazionale delle sexworkers, sono stati i simboli scelti per comunicare la nostra solidarietà alle prostitute di strada che con la nuova proposta di legge rischiano l'arresto. Tra gli slogan "Ma quali Escort, ma che moralità, vogliamo diritti in tutte le città", "Basta ipocrisia, basta sfruttamento, libere di scegliere in ogni momento".

L'azione ha voluto denunciare le politiche di governo e parlamento contro la libertà di scegliere delle donne, che si concretizzano in misure e proposte di legge che in nome della sicurezza perimetrano la nostra libertà e controllano i nostri corpi.

*Il comunicato*

La giornata mondiale contro la violenza sulle donne in Italia cade nel pieno del secondo scandalo di "sesso e potere" dell'anno. Dopo le escort di Berlusconi arrivano le trans di Marrazzo.
E le imbarazzanti rivelazioni sui meccanismi di reclutamento delle donne interni alla PDL e per le cariche elettive e di governo lasciano il posto all'ennesimo mistero italiano, l'omicidio di Brenda, in cui potere politico, criminalità organizzata e carabinieri si sovrappongono e confondono in un quadro inquietante.

Ma non sono serviti gli scandali e le rivelazioni sulle abitudini, i gusti e la propensione al sesso a pagamento di alcuni suoi eminenti rappresentanti a costringere la classe politica italiana ad abbandonare le ipocrisie e a fare i conti con la realtà.

Mentre l'opposizione, bacchettona e morbosa, inorridisce di fronte alle frequentazioni tanto di Berlusconi che di Marrazzo e lancia la crociata anti-Berlusconi parallelamente alle purghe interne, abbiamo una maggioranza di governo che fa passare con la solita scusa della sicurezza la legge Carfagna contro la prostituzione, il cui leader Berlusconi rivendica per sè il diritto alla privacy. La libertà è di tutti e non solo delle alte cariche dello stato: se Palazzo Grazioli è zona franca, allora entriamo noi!

La legge Carfagna, anticipata dalle ordinanza dei sindaci, vuole apparentemente essere un intervento punitivo contro lo sfruttamento della prostituzione, ma in realtà, invece che punire gli sfruttatori, colpisce solo le prostitute di strada e i loro clienti con l'arresto, additandole tra i nemici pubblici numero uno. Lungi dal contrastare la tratta delle migranti spesso minorenni, costringe le prostitute a ritornare alle case chiuse -- bandite dalla legge Merlin del 1958 -- luoghi di ghettizzazione, sfruttamento e violenza fuori da qualsiasi visibilità e controllo. Molto più utile sarebbe abolire lo status di clandestinità, condizione sine qua non dello sfruttamento sessuale e non delle e dei migranti.

Tutto questo accade mentre le statistiche parlano di una fetta sempre più ampia della popolazione maschile che ricorre al sesso a pagamento. In più il caso D'Addario ha reso esplicito che la prostituzione non è fatta soltanto di sfruttamento e costrizione ma può essere una libera scelta per quanto per alcuni difficile da comprendere.

Nel momento in cui le prostitute e i loro clienti hanno avuto tale e tanto "autorevole" visibilità ci saremmo aspettate maggior rispetto per delle lavoratrici e maggior onestà nell'ammettere che non si può punire e condannare pubblicamente ciò di cui si gode nel privato delle proprie case.

Infine, apprendiamo con indignazione che ieri la commissione salute del Senato ha votato un documento che pone il veto alla commercializzazione della RU486, la pillola abortiva al centro del più ampio dibattito sulla libertà di scelta.

Le inquietanti motivazioni di tale voto sono l'ennesima testimonianza di come ad avere la giusta rilevanza non sia il tema della tutela della salute fisica e psicologica e della libertà delle donne ma, al contrario, la necessità di costruire sempre più capillari e intrusive pratiche di controllo sui nostri corpi.

No al reato di clandestinità
No alle case chiuse
No alla segregazione e allo sfruttamento
Per il diritto di scegliere della propria vita e sul proprio corpo
Verità per Brenda

Libertà, diritti e dignità per tutt@

*Studentesse e precarie in solidarietà con le sex workers*


5)

''Lascio il giallo e ritorno ragazza tra la Mole e Parigi'' ''E' la storia di tre giovani donne in viaggio''

Una copertina molto evocativa, con la Tour Eiffel e la Senna sullo sfondo, gia' lascia intuire una trasferta. Che, per MARGHERITA OGGERO, la «mamma» della prof. Camilla Baudino, non e' solo uno sconfinamento dall'ombra domestica della Mole alla capitale d'Oltralpe, ma un viaggio, ben piu' impegnativo, fuori dal perimetro, ormai familiare, del «giallo». Verso il romanzo tout-court. Ma, per la gioia del lettore, interrogativi, suspense e colpi di scena, abbondano, tra le pagine di «Risveglio a Parigi», edito da Mondadori e dedicato alle vicende di Barbara, Silvia e Mariangela, amiche trentenni sull'orlo di una crisi esistenziale. Una bella avventura, sfilarsi i panni da Miss Marple sabauda e calarsi nella vita di tre ragazze un po' incasinate. Perche' questa scelta, signora OGGERO, perche' tradire il giallo, che le ha dato tante soddisfazioni? «In realta' l'avevo gia' fatto in passato, pubblicando due favole per adulti che non avevano nulla del poliziesco. Questa volta mi sono messa alla prova con la narrativa, fuori dai generi, anche per una sfida con me stessa, per vedere se ci riuscivo. Ho voluto anche dare ascolto a un caro amico, Giovanni Tesio, che mi spronava da sempre in questo senso». E cosi' ha scritto un romanzo di formazione. «Dovendo definirlo, direi piuttosto un romanzo di crescita, centrato attorno a un viaggio, che aiuta le protagoniste a mettere a fuoco la loro esistenza, a misurarsi con il passato e ricalibrare il presente». Sino a un finale amarognolo? «Non direi. Anzi, per una delle tre donne, si apre uno scenario di probabile svolta, in senso positivo. Quanto alle altre due, senza svelare troppo, si puo' dire che guadagnano consapevolezza. E tutto questo anche grazie a un bambino che accompagna il terzetto nel viaggio a Parigi. Una presenza che, dapprima viene percepita come seccante dalle protagoniste, ma che si rivela poi cruciale». Chi e' questo bimbo? «Si chiama Manuel, e' il figlio di Mariangela, che lo ha allevato da sola, dal momento che il padre del piccolo l'ha abbandonata appena saputo della sua gravidanza. E' un bambino di otto anni, piuttosto difficile e riottoso, ma bizze e capricci servono a dissimulare sofferenza, disagio. E proprio misurarsi con questo difficile universo infantile, aiutera' le tre donne a rileggere, ciascuna, il proprio vissuto». Chi sono le protagoniste della storia? «Mariangela e' figlia di immigrati calabresi e lavora in uno studio medico, Barbara, orfana di mamma, viene da una famiglia molto ricca e Silvia, che si e' diplomata al Conservatorio sognando di suonare in un'orchestra, insegna musica alle medie. Tre donne molto diverse fra loro, gia' compagne di scuola, che decidono, a molti anni di distanza, di realizzare un desiderio adolescenziale, ovvero il tour parigino». Nel romanzo della «svolta», MARGHERITA OGGERO lascia dunque, oltre al giallo, anche la sua citta', in favore di Parigi? «Parigi e' lo sfondo principale della storia, ma Torino e' presentissima, anche perche' il romanzo e' articolato come intreccio di narrazioni, in prima persona, dei diversi personaggi, tra flash, ricordi, racconto. C'e' la Torino di San Salvario, dove Mariangela ha casa, ci sono le pizzerie periferiche e i ristorantini del centro, c'e' piazza San Carlo, ma pure le immagini di una citta' surreale e svuotata, com'era negli anni Sessanta, in agosto, quando chiudeva la Fiat. Inseguendo le memorie di Stefano, un gay disegnatore di fumetti, molto amico di Barbara, si arriva sino alle colline del Monferrato».
Silvia Francia

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Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Sala Conte Biancamano, via Olona 6 bis, Milano. Giovedi' 4 marzo 2010, ore 18.00

Seminario. Tutela e protezione dei minori migranti in situazioni di rischio
Venerdì 9 marzo 2010, ore 9.30 Consiglio Regionale della Toscana Sala Affreschi Palazzo Panciatichi Via Cavour, Firenze


Lo scandalo della conoscenza Scienza e filosofia tra autorita' e libero pensiero
Dal 5 al 19 marzo Sala Convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona Via Puricelli 15 (Piazza Duomo) - Tortona (AL)


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"Antiviolenza Donna"


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Prostituzione e tratta

Intervista a Claudio Magnabosco
Enio Sartori

Claudio Magnabosco. Premessa: non sono un esperto in materia di prostituzione; mi occupo, invece, della tratta. La prostituzione è solo uno degli aspetti della tratta e, probabilmente, neppure il più significativo, anche se è il più appariscente. Le mie risposte hanno, inevitabilmente un taglio che discende da questa impostazione.

D - Spesso si usa il termine “prostituirsi”, “prostituzione” per segnalare una più generalizzata forma di mercificazione delle relazioni, degli affetti, della professione, della politica. Lei pensa che la cosiddetta messa in vendita del corpo corrisponda a una dimensione generale della corporeità ormai vissuta totalmente in termini di valore di scambio all'interno delle nostre società?

R – La cosiddetta “messa in vendita del corpo” è una espressione distorta; implica in giudizio morale e non corrisponde ad una realtà che, quando è libera e consapevole, potrebbe esser meglio definita come “prestazione”.



Salvo altrimenti specificato, tutto il materiale presente in questa rivista è sotto una Licenza Creative Commons.

Vero è, comunque, che la prostituzione è un fenomeno da leggere a ben più alto livello di quello sessuale: si prostituiscono i valori, gli ideali, le scelte e le decisioni, la politica, l’arte, ecc. ecc. Il problema, quindi, è la mercificazione di tutto nella logica del mercato.

D – Esiste una “retorica della tratta” di ragazze migranti costrette alla prostituzione e dunque vittime ingenue del traffico criminale, che di fatto ci rilancia forse ancora una volta l'immagine della donna e più specificatamente della donna migrante quale oggetto passivo del proprio stesso progetto migratorio, incapace di gestire il proprio destino?

R – Utilizzare una definizione come “retorica della tratta” non è corretto ed adeguato a descrivere la realtà: le donne migranti hanno la capacità di gestire la propria vita, a patto di non essere in condizione di schiavitù. In quella situazione le migranti non possono far altro che prostituirsi, non possono rifiutare di prostituirsi, non sanno fare altro che prostituirsi.

D - Il tema della riappropriazione del corpo, e della libera sessualità, declinato un tempo sul versante femminista, oggi viene coniugato dalle “lavoratrici del sesso” in Europa per legittimare la mercificazione del loro corpo e la richiesta peraltro necessaria, di maggiori protezioni in termini sindacali, sanitari ecc... Tale approccio non appare forse riduttivo ? Tali richieste rappresentano obiettivi anche per le prostitute migranti?

R – Le lavoratrici del sesso? Definizione fuorviante. Se stigmatizziamo la prostituzione in senso lato, evidenziando che riguarda gli ideali, i valori, la politica e, infine ma non in primis, anche il sesso, non vedo come possiamo poi considerare “normale” che questa sia esercitata in qualsivoglia modo, come se fosse un lavoro.

Ma, soprattutto, poiché mi occupo di tratta non posso in alcun modo offrire alle vittime la legittimazione della loro condizione di prostitute. Solo quando e se acquisiscono piena libertà e piena possibilità di inserimento sociale, le vittime potranno scegliere quel che vorranno, qualunque cosa, anche la prostituzione... ma legittimare ciò cui sono costrette come unica e solo opportunità, è inevitabilmente rendersi complici del loro sfruttamento. Maggiori tutele, sindacalizzazione? O facciamo un discorso di riduzione del danno (ottimo e positivo, ma per noi riduttivo) oppure stiamo facendo un discorso parallelo a quello dei trafficanti.

D - La prostituzione, anche nelle sue forme mascherate, è un pedaggio che molte donne migranti pagano per estinguere il debito contratto con le organizzazioni che di fatto controllano i confini degli Stati, per migliorare la condizione economica propria e delle famiglie lasciate nel paese di provenienza, per liberarsi da situazioni di oppressione (come matrimoni forzati, violenza domestica, omofobia) ed emancipazione personale. Ci sono altre motivazioni che inducono le donne migranti alla prostituzione?

R – La maggior parte delle migranti è priva di istruzione, di cultura, di capacità professionali e lavorative; priva, quindi, anche di consapevolezza e si tratta, per lo più, di ragazze giovanissime, sempre più spesso minorenni. Prostituirsi è, per certi versi, la cosa più facile...

D - Quanto incide nel rendere appetibile il lavoro sessuale la costruzione di un modello di vita ad imitazione di quello occidentale fondato sul denaro e sul consumo?

R – Il modello occidentale è, indubbiamente, il sogno, il mito, la meta... da raggiungere a tutti i costi. Ma se si parla con le vittime della tratta, anche quelle che apparentemente si prostituiscono per libera scelta o per consapevole sottomissione, sentiremo dire che quel... lavoro... non è un lavoro e che preferirebbero non farlo e, comunque, non vogliono farlo per sempre... Raggiungere lo standard di vita occidentale è, quindi, effettivamente un obiettivo, ma la evidenza di poter far soldi solo con la prostituzione, prima o poi le rende anche consapevoli di stare all’ultimo gradino della scala sociale occidentale... ben misero risultato.

D - La tendenza a rendere invisibile la prostituzione, a tenerla nascosta agli occhi discreti della gente per aumentarne lo sguardo indiscreto, viene ulteriormente amplificata nel caso del lavoro sessuale migrante dalla condizione di clandestinità. Le lavoratrici migranti del sesso passano e si collocano nei nostri territori senza alcun diritto, traslocano entro percorsi cosmopoliti in modo altrettanto clandestino, giocano la loro esistenza private di qualsiasi diritto di cittadinanza e consegnate alla manipolazione, allo sfruttamento dei clienti, delle organizzazioni criminali. Quanto le attuali legislazioni in materia di immigrazione e di prostituzione incidono su questa condizione delle prostitute migranti? Può bastare il riconoscimento e la regolarizzazione della prostituzione come lavoro esteso anche alle migranti per attenuare questi problemi?

R – Regolarizzare la prostituzione come lavoro è la più evidente forma di prostituzione dei valori che stanno alla base di tutta la cultura dei diritti umani. Regolarizzare la prostituzione è rendersi complici del traffico, sostituendo ai trafficanti il monopolio garantista dello Stato, poiché se di lavoro si tratta, anche la prostituzione dovrà, in qualche modo, seguire le regole del lavoro, quindi assisteremo a proposte e a progetti di tassazione, ecc. ecc. Il problema, allora, è chiaramente un altro: bisogna distinguere nettamente tratta e prostituzione. Sia chiaro: le vittime della tratta non scelgono mai liberamente di prostituirsi; subiscono, accettano, si adeguano alla prostituzione, ma non la scelgono.

D - Nelle nostre società la relazione con una prostituta è intesa da parte del maschio come una semplice appendice staccata e momentanea rispetto alla vita normale, e la prostituta stessa come qualcosa d'altro, al di fuori della società delle donne e della società umana. In questo modo il cliente-maschio si salva sempre, mentre la prostituta è fin dall'inizio dannata. Eppure il fenomeno della prostituzione sembra riguardare proprio la parte più intima e più inesplorata di ciò che siamo. Forse la prostituzione chiama in causa l'intera storia del desiderio maschile, l'impotenza nel saper affermare il proprio desiderio senza ricorrere alla violenza o alla mercificazione, l'incapacità a dialogare con il desiderio femminile? Come viene vissuta da parte del cliente la relazione con una prostituta? Quale collocazione viene data all'interno della propria esistenza a questo tipo di esperienza?

R – Non è possibile generalizzare. I clienti non sono tutti uguali: non è possibile suddividerli in categorie , ma almeno due gruppi li possiamo indicare, attribuendo a ciascuno il 50% della realtà globale. Metà dei clienti è costituita da uomini con problemi affettivi, sentimentali, relazionali e sessuali; per costoro la relazione con una prostituta è affrettata solo nel suo aspetto meramente pratico, ma non si limita al sesso e spesso implica più profondi significati. L’altro 50% non pensa neppure lontanamente di doversi confrontare con il desiderio femminile. Per secoli la donna è rimasta senza diritti, sottomessa e asessuata, tanto da imporre alle donne segregazioni, mutilazioni sessuali, marginalità... L’esercito degli stupratori a pagamento non è diverso da quello degli altri stupratori, dei violentatori... cercare di inserire questi uomini in una categoria sociologica, giungendo a parlare di incapacità di dialogare con il desiderio femminile è puro intellettualismo. Qui siamo ancora al livello più basso della più bieca soddisfazione di istinti. E’ evidente che c’è chi soffia sul fuoco: la pornografia e la riproposizione continua del sesso alle tv e al cinema, alimentano questi aspetti deleteri: e, spesso, le stesse istituzioni rendendosi complici della doppia morale dei più, alimentano le negatività; infatti la prostituzione è diventato un problema solo per la sua visibilità considerata “eccessiva” dai perbenisti, non perchè esistono il traffico e la prostituzione coatta.

D - Si dice che una delle motivazioni profonde che spinge il maschio-occidentale verso il sesso a pagamento sia quella di spogliare il corpo femminile, di profanarlo, ossessione che tra l'altro ritroviamo espressa nell'immaginario colonialista nei confronti della femminilità “esotica” e “misteriosa” della donna araba, africana. Ritiene che effettivamente ci sia anche questa componente nel privilegio che alcuni clienti danno alle prostitute migranti soprattutto di origine africana?

R - Per rispondere sarebbe necessario produrre uno studio sociologico e psicopatologico dei turbamenti, delle pulsioni e delle patologie sessuali maschili. Prima di ogni altra cosa bisogna evidenziare che le migranti sono le donne più deboli e le meno tutelate sotto tutti gli aspetti. E’ più facile dominarle, è più facile violentarle e perfino ucciderle (quante sono le assassinate?) perchè non esistono. L’immaginario collettivo “colonialista” è una realtà, ma per restare su un piano più terra terra, prendiamo atto che da una parte abbiamo, ad esempio, il modello Naomi, la modella più bella e pagata del mondo, dall’altro c’è la possibilità per tutti di possedere per 10 euro a prestazione, la propria bellissima Naomi.

D - Le lavoratrici migranti del sesso rispondono alla necessita di un mercato del sesso globale entro cui va inserito anche il turismo sessuale i cui guadagni sono una parte consistente del Pil in alcuni paesi soprattutto dell'Estremo Oriente. Quali sono le ragioni , secondo lei, di questa preferenza da parte dei clienti occidentali (la maggior parte di donne dedite al lavoro sessuale sono migranti) non tanto del corpo dell'altro, ma di corpi altri?

R- I corpi altri sono belli, esotici, usarli costa poco, conseguenze non ce ne sono...e, in più, i trafficanti si preoccupano di cambiare “la merce” di tanto in tanto, giusto per soddisfare nuove curiosità.

D - Di quali forme di sessualità, di quali tecniche esotiche di seduzione, di quali piaceri, di quali fantasie erotiche sono portatrici nell'immaginario maschile occidentale le prostitute migranti?

R – Le “raffinatezze” della trasgressione sessuale e della perversione non sono così diffuse... i più godono a far male in ogni modo...e basta.

D - Quale impatto hanno le richieste dei clienti sul modo in cui le lavoratrici del sesso ci vedono? Quali linguaggi, gesti, parole, la prostituta immette nella relazione con il cliente?

R – Rispondo per interposta persona, utilizzando ciò che la mia compagna, Isoke Aikpitanyi, ex vittima della tratta, ha descritto nel suo libro “le ragazze di Benin City”: ci sono i papagiri, uomini un po' voyeurs e un po' impotenti, che girano attorno alle prostitute, assicurano loro piccoli servizi e favori, ecc. ecc.; poi ci sono i clienti “polli”, quelli che sono talmente stupidi che è possibile sfruttarli spillando loro più soldi possibile; ci sono i clienti che si arrotolano, quelli che vogliono parlare, capire, che si innamorano, ma che non sono in nessun modo capaci di proporre concrete via di uscita ad una vittima della tratta....

Posso anche dire che ogni prostituta ha la propria inviolabile intimità: molte nigeriane, ad esempio, non usano baciare l’uomo, anzi rifiutano il bacio perfino al cliente con il quale entrano in maggior confidenza....concedono tutto, ma non quello...

D - Le pratiche sessuali proposte dalle lavoratrici del sesso migrante ubbidiscono del tutto ad una formattazione precostituita dal cliente o avviene un apporto creativo legato alle pratiche sessuali di provenienza? Quali immagini di noi stessi ci rinvia la prostituta migrante?

R - La prestazione sessuale della migrante e della migrante africana, in particolare, non è libera e gioiosa come potrebbe essere un rapporto ... libero e gioioso. La soddisfazione delle richieste del cliente è l’unica preoccupazione della ragazza che, in tal modo, può chiedere o pretendere un extra rispetto al compenso pattuito...

Creatività zero, a meno che per tale non si intenda la richiesta da parte del cliente di fare tutto ciò che non può fare con la propria moglie e che vede nei film porno...

D - Non è forse restrittivo attribuire alla donna migrante dedita alla prostituzione l'incapacità di godere, di sentire, curiosità di avventura al di là dell'impero della necessità del lavoro; restrittiva anche l'immagine del cliente come soggetto incapace di sperimentare desideri, sentimenti nella relazione, restrittiva l'immagine del cliente come maschio pervertito e prepotente?

R – Domanda insinuante e un poco voyeuristica. La curiosità di avventurarsi spiega perchè tante vittime della tratta diventino davvero tali; che poi possano godere sessualmente nel rapporto con un cliente è ancora una vana speranza di molti clienti che ritengono di essere irresistibilmente maschi, tanto da far godere perfino una prostituta... Certo è che tra cliente e prostituta nascono talora, relazioni più profonde, anche se non propriamente sentimentali, alla base delle quali c’è una sorta di reciproca soddisfazione e compensazione. Il cliente, comunque, non è necessariamente pervertito, anzi, molti clienti non lo sono affatto. Bisognerebbe però, evidenziare che il fenomeno della prostituzione tocca anche delicatissime questioni delle quali neppure comunemente si osa parlare: come la sessualità nella terza età, negata, considerata sporca o innaturale; e la sessualità di persone che hanno diverse forme di handicap fisici che non cancellano, tuttavia, le loro pulsioni sessuali; e la sessualità di quanti sono affetti da turbe psichiche – eppure vivono come tutti in mezzo a tutti; e la sessualità di quanti, spesso sbandati e malati (non ultimi i malati di AIDS), sono comunque sessualmente attivi. Metto in ultima fila la questione della sessualità degli stranieri, spesso sbandati, sfruttati, imbruttiti e incattiviti, lontani dalle famiglie e dai valori essenziali, lontani dalle mogli e dai figli... Questo l’elenco e, dall’altra parte, ci sono le prostitute e le vittime della tratta; le prime scelgono i clienti, le altre sono lì, indifeso sfogatoio sociale.

D - La sua associazione opera con clienti ed ex-clienti delle prostitute. Ritiene che tra le altre motivazioni che spingono gli uomini a ricorrere a prostitute ci sia anche la mancanza di condivisione e di sperimentazione all'interno della coppia di relazioni sessuali capaci di comprendere come possibilità ciò che gli uomini chiedono alle lavoratrici del sesso?

R - Sicuramente sì, anche se, ripeto, prima che le cose non funzionino all’interno di una coppia bisogna che la coppia esista; spesso la difficoltà maschile è creare una relazione di coppia, all’interno della quale possono poi prodursi dinamiche e problemi. Il fatto è che l’inesistenza di una cultura delle consapevolezza di una vita fatta di serene relazioni, genera una qualche malattia nel rapporto di coppia quando in qualche modo si costituisce. L’insoddisfazione sessuale alimenta le fantasie e le turbative anche in ordine alla propria capacità meccanica di provare e di dare piacere e determina, di conseguenza, la ricerca ... che poi l’uomo si rivolga alla cosiddette lavoratrici del sesso, detta così potrebbe sembrare perfino la ricerca di una terapia... Il problema non è solo l’esistenza di questioni all’interno della famiglia, ma è l’educazione sessuale e la morale sessuale delle quali siamo pervasi e che ci fanno considerare il sesso come peccato. La sessualità diventa, quindi, il lato oscuro della nostra vita, da consumare nascostamente e con vergogna. Credo, di conseguenza, si possa definire il ricorso a prestazioni sessuali a pagamento come una sorta di masturbazione... se la donna non esiste ed è soltanto un oggetto e se la si vuol ridurre a oggetto, significa che si è incapaci di costruire e vivere una relazione vera o, più semplicemente, che si pensa ad un proprio piacere che non implicando alcuna condivisione e compartecipazione, è effettivamente masturbatorio. Non a caso la ricerca forsennata di questo piacere e il bisogno di soddisfarlo in una situazione di clandestinità morale, separata dal resto della propria vita, arriva a determinare un ricorso compulsivo alle prestazioni con una prostituta, tanto da configurare una vera e propria dipendenza, per certi versi non diversa da quella di chi usa sostanze o alcol. Certo è che mentre per soddisfare la dipendenza da droghe e alcol si usano, appunto, sostanze, per soddisfare la propria dipendenza sessuale si usano altre persone.

D - Si deve supporre una intrinseca e attuale tendenza del maschio europeo a voler giocare al sesso attraverso una relazione filtrata dal denaro, e dunque all'azzeramento del processo di condivisione attiva, la necessità che per adempire tali desideri la donna venga ridotta ad oggetto?

Ridurle a non persone corrisponde a non considerare non persone perfino se stessi, oppure a non considerarci responsabili di nulla verso altri e, al massimo, solo verso se stessi.

D - Che cosa può dirci una prostituta non tanto come prostituta ma come donna sul godimento che nella relazione mercificata si fabbrica, sul godimento monetario e non affettivo?

La prostituta non si prostituisce per alimentare i nostri studi sociologici, ma per guadagnare soldi che non sa o non può guadagnare altrimenti. Credo che non abbiamo bisogno di interrogare le prostitute e i clienti per capire ciò che dovremmo capire con una analisi della nostra natura di persone comuni, con sogni, bisogni, pulsioni e turbative, spinte moralistiche e stati permanenti di eccitazione determinati dai media e dalla moda dell’edonismo e dell’egoismo.

D - Quali sono le forme di assoggettamento a cui sono costrette le prostitute nigeriane? Potrebbe descriverci come funziona il mercato delle prostitute nigeriane in questi ultimi anni? Chi sono le cosiddette maman? Come vengono avvicinate le ragazze dalle associazioni criminali in Nigeria?. Quali sono le zone più toccate da questo reclutamento in Nigeria?. Ci sono cause particolari? Le ragazze hanno idea di quello che andranno a fare in Europa?

R – Assoggettamento è il termine giusto; potremmo parlare anche di sottomissione. Preciso, allora, che non esistono le prostitute nigeriane, esistono le trafficate nigeriane. La Nigeria è un paese ricchissimo al cui interno la stragrande maggioranza della popolazione sopravvive appena. Il richiamo dei modelli di vita, di successo e di ricchezza sono davanti agli occhi di tutti. E, insieme a questo, c’è il modello della persona africana che vive bene, perchè fa businnes. Tutti sognano di fare businnes in Nigeria e il traffico è indubbiamente un businnes. Per povera che sia, la vita di una ragazza africana in Italia è sempre più ricca della vita che conduceva in Nigeria: se la media è avere un euro al giorno, l’Italia e l’Europa sono il bengodi. Questo è il primo assoggettamento: la percezione del fatto di vivere una vita senza prospettive e, quindi, la necessità, l’urgenza per i giovani, di cambiar vita e di andare là dove tutti diventano ricchi. Come costringere, però, una ragazza a pagare le ingenti somme del debito che le si impone per portarle in Europa? Se non è una persona stupida si accorgerà presto che le promesse di un lavoro ben pagato e di una vita felice, sono false e potrebbe ribellarsi. Quindi si ricorre a tutto: al richiamo della tradizione, al voodoo, ad esempio. Le ragazze che ci credono non tradiranno mai una promessa fatta a rischio di scatenare contro se stessa e contro la propria famiglia, forze negative e malefiche. Sarà facile per i trafficanti, far credere che tutta una serie di negatività e problemi che la ragazza incontrerà in Europa, sono la conseguenza del fatto che lei è disubbidiente. Un rito voodoo basta, quindi, ad assoggettarle psicologicamente. Ci sono, però, quelle che non credono al voodoo e con queste ci vorrà un gioco più sottile: bisognerà minacciare la famiglia e se è il caso, bisognerà usare la famiglia per far pressione sulla ragazza, trasformando la famiglia stessa in complice della tratta e in complice dello sfruttamento cui la ragazza è sottoposta.

Per le organizzazioni criminali avvicinare le ragazze è facile, spesso le famiglie non aspettano altro che essere avvicinate e considerano il trafficante come un benefattore... come si può tradire, denunciare un benefattore? E il gioco perverso giocato da costoro è tale da far accettare anche le condizioni più inaccettabili: 60 mila euro da pagare? E’ una assurdità ma la si accetta, anche perchè non si comprende subito la differenza tra naira, dollari, euro... Ma se si riesce a pagare in due anni, dopo c’è la prospettiva di fare businnes portando un’altra ragazza a fare la stessa cosa a proprio favore. Ecco chi sono le maman, la lunga manus di una rete che è rete di reti e di persone, ciascuna con il proprio interesse ed il proprio ruolo. E nella rete ci entrano, spesso, appena possibile le stesse vittime. Una ragazza costretta a prostituirsi, trova la possibilità di far soldi, addirittura smettendo di prostituirsi, sfruttando un’altra ragazza, esattamente come lei stessa è stata obbligata a fare. E se neppure questo basta, basteranno la lontananza e l’affetto per i genitori e per i fratelli a motivare la ragazza a starsene al proprio posto, a lavorare in strada, a pagare debito e debiti; a pagare per l’ospedale, per la casa, per l’auto che la famiglia godrà in Nigeria e che - così crede – lei stessa potrà godere quando tornerà. Certo non sa, questa ragazza, che se non continua a mandare soldi il rapporto con la famiglia si inquinerà, che non sarà mai più bene accetta dalla famiglia se non continuerà ad alimentare quella che è chiamata pipeline, una sorta di oleodotto del denaro che ha migliorato addirittura l’urbanistica della città di Benin City, da dove proviene la maggior parte delle nigeriane che vivono clandestinamente in Italia e in Europa.

In Europa ci sono intere famiglie di Benin City, tre o quattro sorelle, tutte con la stessa storia, giunte in Italia per inseguire un sogno, per fare businnes. Le ragazze un tempo non sapevano davvero che cosa avrebbero dovuto fare in Italia o in altri paesi europei. Oggi sanno, ma in realtà non sanno... non sanno cosa voglia dire battere ore e ore al gelo, nella neve, in balia di balordi e violenti... le studentesse che si prostituiscono a Lagos negli alberghi dei bianchi businnesman, sanno e non sanno che cosa sia l’Europa. Sanno che lavoreranno in un night club, che faranno le ballerine e poi si crederanno più furbe delle altre che, invece, sono costrette a stare in strada, ma la situazione è la stessa per tutte, tutte sono di fatto e alla fin fine costrette a prostituirsi. La situazione di clandestinità le obbliga a vivere nel ghetto al cui interno vigono regole e obblighi, all’interno del quale si respira una cultura che le vuole esattamente come sono. Se pagano il loro debito, alla fin fine devono pagare anche una festa nel corso della quale davanti a tutti devono ringraziare le maman, dichiararsi contente di quel che queste hanno fatto e del risultato che hanno ottenuto, in pratica nuovamente devono assoggettarsi ad una logica dalla quale non si esce, come non si esce da un circolo mafioso nel quale si assurge ad un ruolo superiore, dopo aver superato una prova difficile.

D - L'immagine della prostituta che filtra nel nostro immaginario è quella di una donna peccatrice, colpevole, che ruba i mariti, soggetto pericoloso, contaminante, priva di morale, priva di sentimenti genuini, o vittima che bisogna moralizzare o rigenerare. Questa immagine è costruita su stereotipi o corrisponde alla realtà che lei ha potuto conoscere? Ciò vale anche per le vittime della tratta?

R – Le prostitute non si chiedono se rappresentano o no uno stereotipo e non si sottraggono a nulla. Le vittime della tratta, invece, soffrono la loro condizione e compatiscono i clienti che contribuiscono a sfruttarle e tradiscono le famiglie, ecc. ecc. Non propongo una scala di valori per cui le prime sono spudorate e le altre no....certo è che le vittime della tratta, a nostra avviso, meritano impegni per assicurare loro una vita diversa, poiché non vogliono prostituirsi o non vogliono più prostituirsi. Le vittime della tratta non stanno nel modello della prostituta fino a quando non si rassegnano a starci e ad accettarlo. Ma che questa sia una libera scelta, proprio no.

D - La prostituzione migrante, nel suo darsi una struttura in Italia, ricalca i modelli di relazioni dei paesi d'origine, di partenza. Nel caso della prostituzione albanese è la relazione di coppia quella che struttura ambiguamente i rapporti affettivi e commerciali tra ragazza e protettore. Nel caso delle ragazze nigeriane qual è il modello di riferimento?

R – Le ragazze nigeriane per lo più sono gestite da altre ragazze diventate maman; certo chi tiene le fila del traffico è altrove ed è collocato ad altissimi livelli. Come dimenticare che i primi visti per arrivare in Europa sono stati concessi da funzionari dell’Ambasciata italiana complici dei trafficanti e che una volta trasformato il fenomeno in piccola massa, l’effetto non ha potuto far altro che moltiplicarsi a dismisura, visto il costante aumento di tutto il fenomeno delle migrazioni. Il modello nigeriano è più matriarcale di altri..

D - Per i clienti l’appartenenza etnica della prostituta acquista senso solamente sul piano estetico e può evidentemente aumentare il valore della merce: le implicazioni profonde della provenienza della ragazza sono deliberatamente tenute fuori dalla relazione (anzi, il rapporto mercenario è possibile solo a patto di tener fuori tali aspetti), poiché ne incrinerebbero pericolosamente le condizioni. Trova qui concreta applicazione una delle più sottili violenze perpetrate ai danni dell’immigrata, in realtà condizione necessaria dello sfruttamento come di qualsiasi atto volto alla diminuzione della persona: la negazione dell’individualità, della storia personale e l’appiattimento del soggetto sulla propria condizione attuale o la presunta categoria d’appartenenza. Le ho riassunto qui alcune considerazioni attorno alla relazione cliente-prostituta migrante. Ritiene che siano verosimili?

R – Non sono verosimili, sono vere.

D - In merito ai clienti che aiutano le ragazze nigeriane ad uscire dalla condizione di prostitute: non c'è forse una certa presunzione nel pensare di salvare queste ragazze, un malcelato senso di superiorità?

R – Noi del Progetto la ragazza di Benin City non parliamo di aiuto, mai, proprio perchè aiutare significa sentirsi presuntuosamente superiori.

D - Esiste, secondo Lei, un cliente “buono e responsabile” che renderebbe la prostituzione sopportabile oppure la prostituzione determina costitutivamente la morte sociale della donna e il suo non riconoscimento come persona?

R - Esiste il cliente che si sente buono e responsabile e che – appunto – rende la prostituzione sopportabile. Questo è il cliente che, più di tutti gli altri, è complice della tratta, proprio perchè rende la prostituzione sopportabile o, addirittura la modifica, trasformando la ragazza in una prostituta personale, al limite da condividere con pochi altri ....

D - L'associazione "Progetto La ragazza di Benin City". Quali sono i pregi e limiti di questa esperienza? Parlando della filosofia che sta alla base del “Progetto lei si chiede: "Come affrontare e risolvere i problemi di una ragazza africana, superando i propri bisogni (affettivi, sentimentali, sessuali, relazionali) che erano stati determinanti per conoscerla?

R – Opportunamente il cliente dovrebbe diventare, anzitutto, un non cliente, quindi essere il primo a spezzare la catena della tratta. Succede che quei clienti che definisco sensibili, riescono a superare davvero i loro limiti personali se si sentono compartecipi di un progetto umanitario ed umano di grande rilevanza: cancellare questa nuova forma di schiavitù. Il legame con una ragazza diventa meno egoistico e se coronano una amicizia vera, un affetto, vero, un amore vero, queste si trasforma in una normalissima e positiva relazione tra un uomo e una donna. Altrimenti il cliente corre il rischio non solo di rendere la prostituzione più sopportbaile, ma di render tale anche la clandestinità e tutto ciò che costituisce l’essenza stessa della tratta. Questo cliente entra nel giro e nel gioco del businnes africano sulla tratta e anzichè sottrarre ad esso una ragazza, in qualche modo la sfrutta egli stesso. Si presta, così, a regolarizzazioni fasulle, a matrimoni finti, ecc. ecc.

Noi abbiamo pensato, in un primo tempo, che contro le asprezze e i limiti della legge (non crediamo affatto che la legge Bossi – Fini sia una buona legge, ma la nostra valutazione oggettiva è che davvero è una legge tra le migliori d’Europa, per cui immaginiamo qual è la situazione fuori dall’Italia ...) fosse necessario ricorrere ad una sorta di disobbedienza civile; poi, però, abbiamo dovuto prendere atto che tra i disobbedienti c’erano soprattutto dei profittatori: in cambio di un finto lavoro e di un finto matrimonio costoro pretendo denaro e prestazioni dalle ragazze, quindi non disobbediscono gratuitamente al solo scopo di tirarle fuori se non altro dalla clandestinità.

D - La vostra associazione lavora con ex-clienti. Come viene svolto questo lavoro? Quali sono i temi che vengono affrontati e sviluppati?

R - Rendere gli uomini consapevoli di questa situazione, contribuisce a cambiare la prospettiva: non parlare di prostituzione, quindi, è essenziale, proprio perchè si tratta di “accompagnare” una ragazza che voglia uscire dalla tratta, in un percorso che è lungo e difficile, molto più lungo e più difficile del restare dentro alla tratta e rassegnarsi a prostituirsi.

Questi uomini attraverso l’auto-mutuo aiuto, attraverso il confronto da uomo a uomo, possono rendersi addirittura protagonisti di una nuova forma di relazione con la donna, costruita su basi finalmente paritaria, guardando le sopraffazioni e le violenze subite dalle vittime della tratta, come qualcosa di cui essi stessi sono, sono stati o possono essere responsabili diretti o indiretti. Da qui a parlare con gli altri uomini ed attivare un progetto di “coscienza maschile”, il passo è breve. Abbiamo almeno un gruppo di auto-mutuo aiuto in ciascuna regione italiana. Abbiamo migliaia di contatti, 250 uomini in relazione che definisco – quantunque impropriamente – terapeutica, circa 50 sono già concretamente risorsa attiva e positiva, sono cioè uomini trasformati dall’esperienza nella tratta.

E’ opportuno descrivere appieno la nostra attività: la stesse dinamiche di auto-mutuo aiuto, riguarda anche le vittime della tratta che se ne sottraggono anche attraverso il sostegno di altre ragazze che ne sono uscite: in auto-mutuo aiuto, le ragazze di Benin City spezzano le catene della dipendenza psicologica, psichica, culturale, oltre che economica dalla tratta. Rinvio quanti sono interessati ad approfondire la questione “clienti” allo studio realizzato dalla dr.ssa Lorenza Maluccelli e di ormai imminente pubblicazione: è il frutto di un focus sulla nostra esperienza, unica in Italia e in Europa....

Claudio Magnabosco è coordinatore del progetto "La ragazza di Benin City", rete di sostegno di clienti e vittime della tratta che ha sede ad Aosta, è autore del romanzo “Akara Ogun e la ragazza di Benin City”. Informazioni sull'associazione e sulle attività di scrittura di Magnabosco sono ospitate nel sito di inafrica.

Donne di classe e tacchi a spillo


Accostare i tacchi a spillo all’impegno a sinistra delle donne è un buon modo di prendersi, e prendere in giro
Donne di classe e tacchi a spillo

di Monica Lanfranco

Una amica femminista più giovane di me ha nel bagno, accanto al lavandino, un quadretto con una scritta: ”My body is not a temple, is an amusement park” "Il mio corpo non è un tempio, è un parco di divertimenti". Mentre mi lavavo i denti mi sono chiesta se questa divertente e perentoria affermazione mi calzasse, essendo anche io, pur di quindici anni più vecchia, una donna laica e femminista.

Ho riflettuto sul fatto che in diverse occasioni ho percepito e vissuto il mio corpo, (e anche i corpi di chi ho amato e amo), in entrambe le dimensioni, e quindi non posso dire che la mia condizione carnale e fisica sia legata solo alla sfera del piacere e del divertimento o solo a quella della sacralità.

Penso che sia difficile, se non quasi impossibile, ridurre ad uno slogan o ad un simbolo unitario una fattispecie così complessa e dinamica come quella del corpo, o della sessualità, o dell’identità. A volte, però, è necessario farlo. Nel mercato lo si fa di continuo: ci sono stuoli di persone che vivono e prosperano sulla comunicazione e sul relativo commercio di brand, di marchi, di logo per farsi largo tra i milioni di messaggi che la globalizzazione propone.

L’obiettivo è arrivare a colpire l’attenzione: accade nei media come accade nello spazio pubblico, e quindi anche nella politica. Penso che il punto centrale, per valutare un messaggio politico, sia da una parte certamente la scelta delle immagini e delle parole per comunicare, e dall’altra se dietro a questo logo ci siano contenuti, cose vere da dire e da offrire, o solo, appunto, il logo e nulla più.

Faccio un esempi: la campagna del quotidiano Unità, appena insediata la nuova direttora, qualche tempo fa. Per intenderci quella del moderno sedere fasciato nella gonna di jeans, nella cui tasca era infilato il nuovo giornale. La trovai brutta e un’occasione mancata, perché per la prima volta il più diffuso giornale della sinistra era diretto da una donna che a mio parere sbagliava nella comunicazione di questa eccellente novità.

Nel manifesto non si vedeva la faccia della giovane con il bel sedere: voglio dire che non ho nulla contro il sedere, ma se è l’unico aspetto che si evidenza di una donna allora non sono d’accordo, e trovo che si cada inesorabilmente nella comunicazione sessista.
Quello che cerco di spiegare, prima di tutto a me stessa, è che trovo importante quello che Lorella Zanardo ricorda nel video Il corpo delle donne, riportato da Loredana Lipperini: “A monte del reggiseno in vista e delle labbra gonfie, che anche la più intelligente delle ospiti di un dibattito si sente, a differenza dei colleghi maschi, in obbligo di esibire, c’è il malinteso concetto che un essere umano, che ha raggiunto la presunta liberazione dagli stereotipi possa usare i medesimi per divertirsi”.

In questo paese, da tempo, è in corso un attacco violento contro tutto quello che sta a cuore alle donne, di ogni età e ceto sociale, che hanno contribuito alla conquista e all’estensione dei diritti e all’autodeterminazione, per se stesse e anche per gli uomini.
È quindi difficile essere serene e non guardinghe, persino in eccesso, verso l’ammiccamento a quegli stereotipi di genere che pensavamo consegnati alla brutta storia passata, e che invece oggi ci stanno nuovamente soffocando.

Però sono del parere che la resistenza, la rabbia, lo sdegno non possano essere l’unica cifra per lottare contro l’ingiustizia: ci sono munizioni altrettanto potenti come l’ironia, l’autoironia, lo scherno, la risata che seppellirà, l’audacia negli accostamenti, in una parola: la creatività.
A me pare che accostare, con un evidente gioco di parole sull’appartenenza di classe, i tacchi a spillo all’impegno a sinistra delle donne sia un buon modo di prendersi, e prendere in giro, e nello stesso di colpire l’attenzione.

Certo, molto spiritosa la sinistra non è mai stata, e purtroppo è imbarazzante essere cittadine e cittadini di un paese dove il presidente del consiglio è famoso, priapismo a parte, per il suo ossessivo ricorso alle barzellette.
Però la lievità, il gioco, persino il rischio dell’essere fraintese sono indispensabili per uscire dalla palude in cui ci troviamo.

Io i tacchi, figuriamoci poi quelli a spillo, non li ho mai messi, e cadrei anche con scarpe che non fosse più che basse. Però, come cantava Vecchioni, tributando la bellezza dei tacchi della sua ragazza: “La tua intelligenza non ha limiti, è fuori discussione, però con quella amore scusami non ci faccio una canzone, e confesserò che non sottovaluto di vederti camminare; più che il portamento è quel modo di ondeggiare lento lento lento. Lasciatemela vivere, la gioia del tuo culo e del tuo cuore”.

Penso che si possa essere femministe, laiche e inflessibili su sessismo, omofobia e razzismo anche scherzando sui tacchi e la classe. Quando avevo vent’anni e intervistai Nilde Iotti di lei ricordo anche, con tenerezza, che mi disse, schiudendo la porta della stanza d’albergo dove alloggiava: “Un velo di rossetto, e arrivo”.
Qualcuno avrebbe detto che si trattava di una civetteria poco consona al suo ruolo politico: per me fu, e resta, una meravigliosa prova di libertà e di bellezza che solo una donna può regalare al mondo.

Forum
4 Messaggi del forum
Donne di classe e tacchi a spillo
Credo di avere la tua stessa storia politica ma da giovane ero piuttosto integralista: senza jeans strappati, maglioni larghissimi e polacchine ai piedi non potevi essere di sinistra! Nei "giorni di femminismo" erano di rigore gonna a fiori e zoccoli. Hai mai letto Mistero napoletanodi Ermanno Rea? È un quadro abbastanza inquietante del PCI napoletano negli anni ’50. Era senz’altro un partito sotto assedio in una città spartita tra NATO e laurismo ed ai comunisti veniva richiesta non solo integrità morale ma anche una cieca obbedienza ai costumi moralisti e bigotti del partito. Ed è in questo partito che lavora Francesca Spada, giornalista, critica d’arte dell’Unità napoletana. La descrizione di quando va a teatro con l’abito da sera, la storia della sua vita fuori dagli schemi (negli anni ’50 ha osato avere, lei già sposata e con figli, un rapporto fuori dal matrimonio con un compagno di partito) sono stati per me un modo per capire che la rivoluzione, una certa rivoluzione, poteva passare anche attraverso un rossetto. Continuo a non usarlo, ma sono diventata molto più tollerante!

di antonietta cutillo | 19 febbraio 2010, 11:27
Donne di classe e tacchi a spillo
Sono d’accordo, tacchi a spillo e rossetto non sono patrimonio di chi non è di sinistra. Ricordo che negli anni 70 era in voga uno slogan "se non hanno l’eschimo non li vogliamo" Mio cognato è andato ad una manifestazione a Roma con il cappotto di ... caschemir...non aveva altro da indossare...ancora adesso a distanza di 40 anni quando lo riferisce tutta l’amarezza per la derisione di cui è stato oggetto torna a galla.

di Carmela | 21 febbraio 2010, 21:19
Donne di classe e tacchi a spillo
€ penso di essere nella fascia di eta’ delle due compagne (spero accettino l’appellativo !) che hanno lasciato il loro commento prima di me,leggere mi ha fatto capire che ogni generazione ha i propi simboli,che cambiano anche i contenuti ma mi auguro che le idee siano sempre di sinistra,i tacchi a spillo di oggi sono i nostri zoccoli,io li avevo anche con la pelliccia.calzari a parte ragazze non crediate che quello che siamo riuscite a migliorare sia per sempre,oggi e’ tutto precario state in campana.Gelsomina

di Gelsomina | 22 febbraio 2010, 14:48
Donne di classe e tacchi a spillo
Io non capisco una cosa. Non è in discussione il fatto che una donna di sinistra possa fare uso tacchi a spillo o rossetto o altri segni (forse qui fin troppo) convenzionali di seduzione. E’ in discussione la relazione di questi segni con un significato politico da comunicare. A me non arriva alcun contenuto politico. E la scarpa non solo fallisce nel trasmetterlo ma assorbe nella sua sfera di simbolo di apparenza il termine classe, svuotandolo di ogni forza e connotazione storica. (si potrebbe dire che la classe non è solo apparenza ma anche sostanza, ma allora andava trovato un simbolo diverso dallo stiletto da marciapiede)

di laura | 25 febbraio 2010, 16:03
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venerdì 19 febbraio 2010

Guida al corpo della donna




Dall’8 marzo è in libreria la prima Guida di Giudizio Universale. Per capire una delle questioni principali del nostro tempo. Ecco alcuni brani da leggere in anteprima
di Carlo Flamigni e Margherita Granbassi

(fonte FlickrCC, GianniD.)

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Oggi più che mai, gli uomini cercano di esercitare il proprio controllo sul corpo della donna: con la forza o con mezzi più subdoli. È un tema in cui si intrecciano pubblico e privato, politica e violenza, medicina e psicanalisi, pubblicità e velinismo. Questa è una guida utile per orientarsi, dalla A alla Z.

Vai alla scheda del libro

Per i nostri lettori una selezione di estratti da alcune delle voci.

Abbraccio
In alcune scuole americane gli abbracci dei ragazzi sono stati cronometrati. Il preside ha messo lo stop ad abbracci più lunghi di trenta secondi dicendo: “Non era più un saluto, era un continuo stare attaccati senza alcuna necessità. Sempre così, prima di andare in classe, per tutto il giorno”. Mi stupisce perché poi si accusano i giovani di abbracciarsi solo e sempre alla tastiera di un computer. (…)
Ho iniziato questo libro sul corpo femminile dall’abbraccio per due semplice motivi. Anzitutto perché l’abbraccio è l’incipit della nostra vita, è il primo segno di affetto che riceviamo. Poi perché la donna, più dell’uomo, ha il coraggio di abbandonarsi al calore di un abbraccio amorevole, amichevole, filiale, materno. Di offrirlo, di inseguirlo, di sognarlo. Se una donna soffre non ci sarà catarsi senza un nuovo abbraccio.
(Margherita Granbassi)

Aborto
Si possono disegnare due tipi di società che possono fare a meno dell’aborto: la prima è una società nella quale ogni bambino che nasce è benvenuto, anche se sottrae il cibo necessario per la sopravvivenza dei fratelli; la seconda è una società nella quale ha avuto successo la diffusione della cultura, per cui tutti i cittadini sentono il peso della responsabilità sociale connessa con la vita sessuale e sanno utilizzare con discernimento i metodi anticoncezionali che la scienza (che rappresenta il loro maggiore investimento e che è al loro servizio) mette a disposizione. Che poi luoghi come questi esistano veramente è un’altra faccenda.
(Carlo Flamigni)

Allattamento
Non c’è dubbio sul fatto che il latte materno sia l’alimento ideale per lo sviluppo e per la salute del bambino. Molti dei suoi vantaggi sono evidenti e non necessitano di prove: difficilmente crea allergie; non comporta spese particolari e facilita (quasi sempre) il compito della madre; la casa che lo produce garantisce sterilità e giusta temperatura; rende più facile la formazione di una flora batterica intestinale favorevole alle funzioni digestive. (…)
Una serie di ragioni scorrette e di motivazioni futili hanno prodotto, a partire dagli anni Cinquanta, una netta flessione dell’allattamento materno in tutto il mondo. Una congerie di sciocchezze che si sono però associate a una motivazione seria: le donne che lavorano incontrano molte difficoltà a trovare il tempo e il modo per allattare il figlio durante le ore centrali del giorno e finiscono col limitarsi a un paio di poppate. La cosa più discutibile invece riguarda il timore che l’allattamento rovini il seno e ne cambi la forma in una che agli uomini non piace. Avevo promesso di tenere questa notizia per me, ma proprio non ce la faccio: è bene che tutti sappiate che si sta organizzando una vera rivoluzione contro la tetta artificiale, marmorea, innaturalmente proiettata verso il cielo, di temperatura almeno quattro gradi più bassa della minima stagionale, ricoperta da una pelle lucida sotto la quale si intuiscono marchingegni misteriosi. Mi si dice anche che sono sempre più apprezzati i seni un po’ molli, leggermente cadenti, con la cute disegnata da venule azzurre, quelli che hanno una storia da raccontare.
(Carlo Flamigni)

Ciclo mestruale
Che le donne mestruate facciano appassire i fiori, impediscano al pane di lievitare, facciano appannare gli specchi e mandino in putrefazione tutto quello che viene in contatto con la loro saliva, è notizia che è arrivata fin quasi ai giorni nostri. (…)
Di tutte queste sciocchezze la società – che è prevalentemente una società di uomini – si è liberata con difficoltà, e di alcune di esse non si è in realtà mai liberata. In tempi molto prossimi a noi, le donne italiane che avevano finalmente acquisito il diritto di entrare nella Magistratura ne furono tenute fuori per un altro po’, in quanto i maschi non riuscivano a trovare una soluzione a questo drammatico quesito: si può affidare la sorte di un uomo che deve essere giudicato a un magistrato capace di equità per ventisei giorni al mese e assolutamente inattendibile per quattro?
(Carlo Flamigni)

Mano morta
Quando si pensa alla mano morta si pensa alla battuta da bar, alla scenetta ridanciana di un filmetto da quattro soldi (ma da quattro milioni di euro di incassi). La mano sul sedere o tra le gambe di una donna fa ridere. Senza pensare che la mano morta è l'anticamera dello stupro, in quanto esercizio del potere su una persona che non può difendersi: la vittima non fa in tempo ad accorgersene che la mano è già risorta nelle tasche del vile proprietario.
(Margherita Granbassi)

Orgasmo
Qualcuno ha ridotto il clitoride a un pene di serie C, una versione primitiva dell’organo maschile (magari è per questo che non ha nemmeno un genere grammaticale definito, e si può dire sia il clitoride che la clitoride), come i capezzoli dell’uomo rispetto a quelli femminili. E invece, altro che versione primitiva (e altro che invidia del pene), il/la clitoride è un apparato super sofisticato che comprende circa 8.000 fibre nervose! A raccontare le cose come stanno, il piacere erotico sembra tagliato su misura più per le donne, visto che interessa una parte molto più estesa dei genitali maschili. Oltre al fatto, ovviamente, che quando per l’uomo arriva l’eiaculazione la pratica per lui è temporaneamente archiviata, mentre la donna può avere un orgasmo dopo l’altro. Detto senza volontà di competizione, ma tanto per ristabilire la verità delle cose, e in omaggio e memoria delle donne che sono state considerate malate gravemente di isteria perché si masturbavano.
(Margherita Granbassi)

Prostituzione
“Prostituta” è parola che deriva dal latino prostituere (porsi davanti), e il significato etimologico – indica la schiava che viene posta in vendita davanti alla bottega del padrone – è ancora oggi valido. Perché qui sta tutto il problema, ancora una volta connesso con i diritti personali e la libertà. Penso che nessuno possa proibire a un cittadino di fare, del proprio corpo, l’uso che ritiene più opportuno, ammesso che si attenga ad alcune semplici regole, come quella di rispettare l’igiene, di non dare scandalo, di non offrirsi ai bambini e ai vecchioni. Quello che c’è di odioso nel commercio del corpo è l’esistenza dei racket, degli sfruttatori, dei ruffiani, degli schiavisti; quello che c’è di bestiale è la coercizione, la violenza, l’insopportabile ricorso alla prostituzione infantile. Quello che c’è di incredibile è che nessuna società civile riesca a evitare queste vergogne.
(Carlo Flamigni)

Pubblicità
Quando si parla di pubblicità, la cosa più sgradevole è predicare bene e razzolare male. Quante volte sui quotidiani capita di leggere editoriali che tuonano contro la riduzione del corpo femminile a oggetto, e due pagine più in là, se non a fianco, si vede una pubblicità che rappresenta proprio quella oggettivizzazione? E non furono dei periodici politici progressisti a lanciare le famose “tette in copertina” per incrementare le vendite? Forse questo dimostra che la criminalizzazione della pubblicità è semplicistica.
(Margherita Granbassi)

Q.I.
Nei libri di medicina è scritto che il cervello maschile, almeno dal punto di vista morfologico, è caratterizzato da una maggiore asimmetria. Questa è certamente una cosa che fa pensare: tutti i miei libri di medicina sono stati scritti da uomini e non ho alcuna possibilità di sapere cosa avrebbe scritto una donna al loro posto, anche se mi viene in mente che forse avrebbe potuto dire che il cervello femminile è più simmetrico di quello maschile.
(Carlo Flamigni)

Sport
Ci sono almeno due ragioni per le quali lo sport porta benissimo il colore rosa: innanzitutto lo sport è un lavoro sui propri limiti, sulla consapevolezza di averli, sul lavoro per superarli. E su se stessa la donna mente meno dell’uomo. L’altra ragione è il ruolo fondamentale che nello sport ha il rispetto delle regole. La donna, per quella particolare sensibilità alle relazioni che porta dentro (e le buone regole servono per difendere le relazioni) ha una maggiore lealtà verso le regole. Quando leggo di casi di doping al femminile resto doppiamente scandalizzata.
(Margherita Granbassi)

Uso politico
Quando penso all’uso politico che si fa oggi del corpo della donna, quello che provo è una profonda delusione. Non dovevamo arrivare a tanto. E’ facile accusare la strumentalizzazione del corpo femminile da parte dell’uomo, ma se questo accade significa che ci sono delle donne che a questo si sono prestate. La donna che si inchina a questi giochi sta disertando dal suo sesso. E’ una collaborazionista. E’ una donna a disposizione.
(Margherita Granbassi)

Carlo Flamigni e Marghertita Granbassi,
Guida al corpo della donna

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07 Marzo 2010
Guida al corpo della donna



di Carlo Flamigni e Margherita Granbassi

Dall'8 marzo in libreria

Il corpo della donna è il campo di battaglia di un terribile scontro di civiltà: non tra occidente e oriente, ma tra chi - in occidente come in oriente - vuole porre sotto controllo le donne, con la forza o con altri modi. E' una delle questioni principali del nostro tempo, in cui si intrecciano pubblico e privato, politica e violenza, medicina e psicanalisi, pubblicità e velinismo. Ecco una guida per orientarsi all'interno del tema: dalla A di Abbraccio, Allattamento e Aborto alla Z di Zampe di gallina, passando per Femminismo e Lingerie.

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GLI AUTORI


Carlo Flamigni
Professore di ostetricia e ginecologia, ha diretto per vent'anni il servizio di Fisiopatologia della Riproduzione dell'ospedale S.Orsola di Bologna. Specializzato soprattutto in tecniche di fecondazione assistita, è membro del Comitato nazionale di bioetica. Molto più che semplice ginecologo e scienziato, è divulgatore (Avere un bambino. Come inizia una vita: dal concepimento al parto, Mondadori), romanziere (Circostanze casuali, Sellerio), intellettuale impegnato in difesa della laicità e della libertà delle donne (Casanova e l'invidia del grembo. Ragionamenti fatui sulla discussa capacità cognitiva delle donne e sull'esistenza di una ragione nel loro utero, Baldini Castoldi Dalai).


Margherita Granbassi
Triestina, 30 anni, campionessa del mondo di scherma, persegue il sogno di praticare giornalismo. Ha partecipato alla trasmissione Anno Zero, e siccome i Carabinieri per i quale gareggiava come atleta volevano impedirglielo si è dimessa dall'Arma. Abituata a concentrarsi sul corpo per l'esercizio dell'agonismo, la Granbassi ha sviluppato attorno ad esso una riflessione che coraggiosamente mescola femminismo e difesa della seduttività, e sa esprimerla con voce fresca, originale e informata, smentendo il luogo comune di una generazione liquidata come velinista.



PRESENTAZIONI IN LIBRERIA

Roma
9 marzo 2010, ore 18
Libreria Feltrinelli
Via V.E. Orlando 78/81

Milano
16 marzo 2010, ore 18
Libreria Feltrinelli
Via Manzoni

martedì 9 marzo 2010

criminologia > Violenza sulle donne

Il volto oscuro di Milano: passeggiata tra le vie dove si vive di sfruttamento della prostituzione
Ragazze, trans e ‘femminielli’ ridotti in schiavitù per soddisfare il sempre florido mercato del sesso
Era il 1958 quando veniva varata la legge Merlin, che avrebbe dovuto rappresentare una svolta nella lotta alla prostituzione.
Il testo normativo vietava “l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane” (1) .
Sono trascorsi ormai cinquant’anni dall’adozione di tale provvedimento eppure la questione è oggi ancor più discussa e allarmante.
Sfruttamento della prostituzione è oggi sinonimo di riduzione in schiavitù. E’ illusorio pensare che il “mestiere più vecchio del mondo” venga ora svolto da soggetti consenzienti. Salvo isolati casi di individui, che comunque vivono dolorose situazioni di miseria, disagio o emarginazione di cui la società avrebbe il dovere di farsi carico, nella maggior parte dei casi donne e ragazzini sono ‘fonti di lucro’ di organizzazioni criminali.
La cronaca nera fa entrare in maniera dirompente nelle case degli italiani le modalità e i numeri dello sfruttamento, fungendo da cassa di risonanza di ciò che viene provato quotidianamente nelle aule di giustizia.
Eppure, a chi si finge ignaro del ‘marciume’ che imperversa le nostre città, si contrappongono i perbenisti che addirittura lo alimentano. Anche la prostituzione sottostà alle dure regole del mercato: la domanda ingurgita l’offerta sempre crescente.
Se in queste calde sere di mezza estate facciamo una bella passeggiata tra le vie di Milano incontriamo russe, ucraine, moldave, bulgare e rumene sotto il controllo di clan albanesi, rumeni e slavi.
Nei giardinetti e tra le automobili parcheggiate ai lati del Parco di Porta Venezia ragazzi si vendono per benestanti in cerca di trasgressione. Per coloro che sprofondano nella perversione allora c’è sempre il mercato dei
‘bambini-oggetto’ di Piazza Trento. I trans e viados passeggiano per via Melchiorre Gioia e Viale Zara sotto il controllo di albanesi e sudamericani. Organizzazioni cinesi gestiscono, invece, tossicodipendenti italiane e asiatiche a Gran Sasso, Piccinni e Caiazzo.
Pendolari e turisti hanno, infine, la possibilità di ammirare nella Stazione del capoluogo lombardo e in viale Abruzzi ben 200 prostitute.
L.T.
________________________________________
(1) Art.1 l.75 del 20 febbraio 1958 – “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”, G.Uff. 4 marzo 1958 n.55

Milano, 26 lugio 2007

duralexsedlex.it note legaliprivacy

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Dalla Nigeria le nuove schiave


Scritto da Repubblica.it

ROMA - Prelevate con l'inganno in Nigeria, legate da un patto "woodoo" con i loro stessi carnefici, trasportate come bestiame per il deserto, costrette a prostituirsi sulle coste libiche, torturate con il petrolio bollente se tentano di ribellarsi, "importate" in Italia su richiesta delle maman e ritirate all'uscita dei Centri di identificazione ed espulsione. Destinazione? Le strade del sesso a pagamento di Roma. La Via crucis delle prostitute nigeriane sviscerata in un dossier della cooperativa Be Free.
Sono colloqui difficili quelli che la cooperativa sociale Be Free svolge o tenta di svolgere nel Cie di Ponte Galeria con le donne nigeriane appena giunte da Lampedusa. Quando una di loro cerca di interagire con le operatrici, altre connazionali si avvicinano alla ragazza inveendo, strattonandola, tentando di impedire in tutti i modi il contatto. Il livello di organizzazione e capillarità raggiunto dalla criminalità internazionale che controlla la tratta delle schiave del sesso è altissimo tanto che anche all'interno dei Centri le donne "importate" destinate alla prostituzione in Italia non sono mai lasciate sole. Telefonini e maman sorvegliano e non perdono mai di vista la loro fonte di guadagno, che hanno fatto arrivare direttamente da sperduti villaggi africani, soprattutto nigeriani.
Il business. Il "valore economico" della tratta ammonta ad una cifra tra i 152 e i 228 milioni di dollari annuali, secondo Unodoc, United nations office on drugs and crime, che ha sede a Vienna. Ogni anno vengono "trafficate" in Italia tra le 3.800 e le 5.700 donne provenienti dalla Nigeria, e in misura assai minore da Sierra Leone, Ghana, Cameroon e Guinea. Unodc afferma inoltre che il traffico da questi specifici paesi africani costituisce oltre il 10% del mercato del lavoro sessuale coatto in tutta l'Europa occidentale.

Il prelievo. Uomini e donne nei villaggi d'origine, individuano le donne appartenenti alle fasce più disagiate della popolazione: orfane o prive di rete sociale, vittime di situazioni di maltrattamento e violenza all'interno della famiglia, ragazze senza alcuna risorsa economica o a rischio di vita in quanto sorelle, figlie o mogli di attivisti che lottano per il diritto alle terre confiscate. I reclutatori le irretiscono con false promesse di una vita migliore. A fare opera di reclutamento è talvolta la maman stessa che provvederà a prostituire e a sfruttare le ragazze nel luogo di destinazione. In altri casi, sono assoldate direttamente dai trafficanti che poi contattano la maman in Italia per proporle l'affare.
Le case di transito. Nel lungo viaggio dalla Nigeria alla Libia le donne vengono fatte alloggiare nelle "Case di transito" in Chad e Niger. Generalmente in questa fase non sono ancora state costrette a prostituirsi e non sono consapevoli di quello che sarà il loro destino.

"Ho vissuto in questa casa con Brother e altri 4 uomini e 2 donne tutti nigeriani per 4 mesi. Era lui a pagare il cibo e il resto per me; lui durante il giorno andava a lavorare come camionista mentre io era libera di uscire ed entrare in casa quando volevo" "Brother" - fratello - è l'appellativo con il quale solitamente il primo adescatore viene chiamato, utilizzando lo stesso lessico familistico che si usa con le donne controllanti definite "Maman".
Le case chiuse in Libia. L'ultima parte del viaggio africano riguarda la Libia. Qui le donne vengono passate ad un altro sfruttatore, che sovente gestisce delle case chiuse a Tripoli, e sono costrette per mesi, a volte per anni, a prostituirsi. Se si ribellano vengono picchiate e torturate fisicamente e psicologicamente.

"In questa casa eravamo più di 30 ragazze tutte di origine nigeriana, tutte costrette a prostituirci in attesa di essere poi mandate in Italia. Sono stata là per circa 4 mesi, dovendo andare a letto con una media di 5 uomini al giorno. Anche qualora avessi intuito prima le sue cattive intenzioni mi sarebbe stato impossibile da sola tornare indietro, a quel punto l'unica possibilità era andare comunque avanti".
Le torture. Nei "bordelli" le ragazze non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali; se oppongono resistenza vengono picchiate e torturate. Una delle violenze consiste nel farle camminare o sedere sul petrolio bollente. E', inoltre, molto comune che le ragazze rimangano incinte dei loro clienti (sono infatti costrette ad avere rapporti sessuali senza preservativo) e siano poi vittime di aborti clandestini, procurati mediante calci nello stomaco e cocktail di medicinali da ingerire.
Generalmente la maman non vuole che le ragazze siano sfruttate in Libia nei "bordelli" avendo interesse a che le stesse siano mandate il prima possibile in Italia; se infatti la maman si accorge che le ragazze vengono fatte prostituire in Libia spesso smette di pagare i trafficanti.
La falsa fuga e l'Italia. Spesso ricorre il racconto di una medesima modalità di fuga dalle case chiuse: un cliente-fidanzato che pagando più soldi del dovuto per i rapporti effettivamente consumati estingue il debito in anticipo. Successivamente i due si imbarcano insieme per l'Italia. Durante la permanenza dei Cie l'uomo contatta la ragazza telefonicamente e l'aspetta all'uscita. In realtà il fidanzato spesso non è altro che il tramite con la maman, inserito stabilmente nel racket dello sfruttamento sessuale.
Una volta giunte nel nostro Paese, quindi, la catena dello sfruttamento lungi dall'essere spezzata continua durante la permanenza nei Centri grazie all'uso di telefoni e di donne "complici" degli sfruttatori. All'uscita sole e disorientate non possono far altro che cadere nelle mani dei loro aguzzini che le avviano alla prostituzione sulle strade italiane.
Il woodoo. Oltre alla costrizione fisica e alla paura, spesso le ragazze nigeriane non denunciano i loro sfruttatori e non parlano con le operatrici sociali all'interno dei Cie per un ricatto psicologico: la minaccia derivante dagli effetti di "nefasti" del woodoo. Il rito avviene prima della partenza per il viaggio verso i luoghi nei quali si le donne verranno avviate alla prostituzione, e molte credono davvero che se tradiranno il patto stretto con i trafficanti cose terribili capiteranno a loro stesse o ai familiari. (28 luglio 2009 - Repubblica.it)

http://www.power-gender.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1794&Itemid=1

Ultimo aggiornamento ( martedì 28 luglio 2009 )

Le nuove schiave del Paraguay


Sono 10.000 le donne che ogni anno finiscono in questa rete

Nella capitale della tratta delle
bianche: migliaia di donne rapite
e costrette a vendersi
EMILIANO GUANELLA
ASUNCION DEL PARAGUAY

Sabrina T. ha 24 anni, pochi soldi in tasca e due figli da mantenere quando una cugina di Asuncion le racconta come fare per svoltare vita: un lavoro sicuro in Spagna come impiegata domestica, settecento euro più vitto e alloggio, quanto basta per mettere insieme, nel giro di un anno, il denaro sufficiente per tornare in Paraguay e iniziare un’attività in proprio. Spuntano due persone che hanno già pronto per lei il biglietto aereo per Madrid, una borsa con 500 euro per passare la dogana e il passaporto con il visto. A destinazione viene caricata su un’auto e portata in un night club di bassa lega dove le spiegano che dovrà lavorare fino a cancellare il debito di tremila euro contratto per lei dai suoi «datori di lavoro». Florencia L. ha appena 17 anni quando viene presentata ad un’agenzia di lavoro interinale per un posto da cameriera in Argentina: caricata su un camion assieme ad altre sei ragazze, viene violentata lungo il cammino e «affittata» in una mezza dozzina di locali notturni. «Mi sono sentita una stupida - confessa oggi - ancora adesso non riesco a capire come ci sono potuta cascare».

La tratta delle bianche è un fenomeno in forte crescita in Sud America, con epicentro nella zona della triplice frontiera fra Argentina, Brasile e Paraguay. Zona di confine tra la legge e il crimine, dove passano tra le sei e le diecimila donne all’anno. Una rete fatta da reclutatori, trasportatori, compratori e venditori, che ha spesso come destinazione finale l’Europa, Spagna, Italia, Svizzera, Grecia. «La cosa più sconvolgente - spiega Cynthia Bendlin, responsabile di un programma di prevenzione premiato l’anno scorso dal Dipartimento di Stato americano - è che la catena inizia spesso con un familiare o una persona molto vicina alla vittima. Un cugino, un fidanzato che si presenta con un volantino con l’annuncio di un’offerta di lavoro ben retribuita all’estero».

La rotta tradizionale passa attraverso le province argentine di Missiones e Corrientes fino alla periferia di Buenos Aires dove avviene una seconda selezione; le ragazze dalla migliore presenza vengono mandate in Europa, le altre si smistano nella zona. Il Paraguay è il serbatoio maggiore. A volte i trafficanti organizzano delle messe in scena, finti concorsi di bellezza in hotel di lusso, casting per campagne pubblicitarie. Qualche anno fa la stampa locale ha smascherato un traffico di detenute del carcere femminile di Asuncion, vendute direttamente dal direttore del penitenziario. Nelle scuole vengono distribuiti depliant in stile fotoromanzo, la polizia ogni tanto organizza retate ma sembra impossibile controllare la tratta, specie nella zona di Ciudad del Este, capitale sudamericana del contrabbando, crocevia di traffici di ogni tipo.

L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim) cerca di sensibilizzare governi nazionali e locali. «Il Brasile - spiega Eugenio Ambrosi, direttore italiano della sede regionale - è l’unico paese della regione con una politica chiara e una legislazione adeguata. In Argentina è appena stata promulgata una legge sulla tratta, in Uruguay, Paraguay e Cile mancano gli strumenti giuridici adeguati». Polizia e inquirenti fanno distinzioni tra la vittima minorenne e quella maggiorenne: sono solleciti nel primo caso, pochissimo nel secondo, prendendo come pretesto che la donna potrebbe essere consenziente. Ma i fattori chiave sono la paura e la vergogna.

«Le ragazze - spiega la Bendlin - vengono violentate e malmenate non appena rapite. Solo dopo subentra la tortura psicologica. I sequestratori le ricordano che sanno dove abitavano, le ripetono i nomi dei loro figli, le convincono che nessuno a casa crederà alla loro versione. Quando la polizia le libera poche prestano denuncia, le inchieste si arenano». Nelle stanze del centro di recupero «Luna Nueva» una ventina di ex ragazze di strada imparano a cucire, ad usare il computer, a leggere e scrivere in spagnolo oltre al guaranì, la lingua indigena che si parla in tutto il Paraguay. Tutte minorenni, quasi tutte giovani madri.

«Facciamo del nostro meglio - spiega la direttrice Raquel Bermudes - ma quando escono si trovano di nuovo con la mancanza cronica di lavoro, il rischio che finiscano di nuovo in strada o sequestrate all’estero è altissimo». La «vita utile» di una ragazza finita nella tratta difficilmente supera i 30-35 anni. Alcune di loro continuano a lavorare per conto loro, altre vengono obbligate a fare da «mule» portando droga in Europa. Ma ci sono casi di ragazze che vengono assoldate e tornano in Paraguay come reclutatrici. Vittime che diventano complici in un circolo che non si spezza mai.

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